“Pulling the trigger”, il secondo platter dei
Cooper Inc., nasce da una produttiva liaison germanico-olandese che unisce sotto lo “stesso tetto” quattro ottimi musicisti dal solido curriculum accademico e un produttore di comprovata fama, e si rivela un disco di hard n’ heavy melodico di notevole interesse.
John Cuijpers (collaboratore degli Ayreon) e la sua voce stentorea e intensa, Christian Tolle (titolare anche di un progetto solista) e la sua chitarra ispirata da dosi sapienti di sensibilità e graffio, coadiuvati da una precisa sezione ritmica composta da Matthias Rethmann (LeeZ, Paul Sabu, Silver, …) e da Hans In’t Zandt (Vengeance, Mad Max), rappresentano un team esecutivo dotato di considerevole sintonia, mentre la “cabina di regia” governata da Michael Voss (Casanova, Silver, Mad Max, Voices Of Rock, …) offre la consueta consistenza sonora: l’esito non poteva che essere professionale, risoluto, equilibrato e, come anticipato, generalmente piuttosto accattivante, anche se, nonostante gli spunti compositivi presenti, a mio modo di vedere, alle canzoni dell’album manca talvolta un pizzico di profondità, di “anima”, destinandole ad una
superficialità che, pur se preceduta dall’aggettivo
piacevole, ne ostacola, di fatto, l’ingresso perentorio nel gotha di settore.
Nulla di particolarmente “grave”, per la carità, anche perché, d’altro canto, è sicuramente assai apprezzabile il gusto con il quale i nostri assemblano il loro arguto melange di melodia ed energia, passando con disinvoltura e costante vocazione da vivaci e appassionati territori AOR (“All of you”, “Never let you go”, “Who is the one”) a granitici anthem da arena ottantiana (“Deja vu”, “Pulling the trigger” – special guest Vinny Burns - “On the cover”, “Rock my world”), inframmezzati da momenti in qualche modo più “moderni” e volubili (i bagliori psichedelici di “Weep”, il lieve tocco pop di “Rain” – guitar solo by Doug Aldrich - e “Voices within”, il groove di “Who gives you the right”, le pulsioni notturne e ombrose di “Let me out”), tutta roba che li mette al riparo da un poco gratificante inserimento nella frequentata categoria dei “mediocri”, ma sono anche convinto che una superiore “messa a fuoco” del songwriting avrebbe fattivamente contribuito a raggiungere quell’eccellenza al momento solo sfiorata.
“Pulling the trigger” è, dunque, sicuramente un buon disco, che possiede anche molti di quei “segni premonitori” che ci consentono di sperare in un “futuro migliore” senza per questo essere tacciati d’irrimediabile utopismo.
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