E’ praticamente inevitabile. Trattare di questa nuova uscita della feconda accoppiata Andromeda Relix e New LM Records equivale per il sottoscritto ad un affidarsi all’onda dei ricordi, a quel “come eravamo” che se da un lato può apparire un po’ stucchevole e nostalgico, dall’altro risulta utile a ricostruire frammenti di una “storia” che parte da lontano e che è sempre importante tenere bene a mente, anche in questi nostri tempi dove tutto sembra più “facile” e possibile.
Parliamo di tempi in cui
‘zine era l’abbreviazione di
fanzine e riguardava una roba fatta di carta (spesso di scadente qualità!) e non di bytes, di un’epoca in cui
demo era sinonimo esclusivo di
demostration tape e per molti rappresentava già di per sé un obiettivo parecchio gratificante e rilevante, di un’Italia del rock che si dibatteva tra passione, invidie, ispirazione, isterie, esterofilia, improvvisazione e scarso credito internazionale.
In particolare, poi, bisogna anche sottolineare la natura di una città, Torino, controversa, contraddittoria, per certi versi
grigia ma anche inquieta, ricca di gran fermento dal punto di vista musicale e che viveva abbastanza male la competizione con la vicina Milano, nell’
immaginario collettivo più affascinante e autorevole pure sotto questo profilo (beh, le cose non è che siano tanto cambiate …).
Eppure nel capoluogo sabaudo c’erano moltissime band di valore, e se ci spostiamo nell’ambito specifico dell’heavy metal, una delle principali “glorie” cittadine appartenenti a tale settore erano proprio i
Black Deal, un outfit nato in circostanze “difficili” (nelle stanze del Ferrante Aporti, il carcere minorile locale) e che immediatamente dimostra la sua qualità superiore, grazie ad apprezzate esibizioni nei principali locali underground torinesi, quali il Centralino, il Big e il Metro, tutti ben conosciuti dai rockers piemontesi.
E così che cresce la notorietà e la sicurezza espressiva del quartetto (consolidatosi in tale schieramento dopo l’ingresso del vocalist Marco Bragadin), sviluppatesi anche grazie alla tutela dei più noti progsters Zauber, con cui condividono spesso i palchi (e il personale esecutivo), ma purtroppo una certa debolezza caratteriale e vicende personali piuttosto problematiche e autodistruttive porteranno i Black Deal allo scioglimento, nonché, non molto tempo dopo, addirittura alla tragica dipartita di Cristian Zanirato e di Michele Nallino.
Come si può ben capire da questa breve ricostruzione, la veste di
disperata e talentuosa meteora (la definizione è tratta dal booklet del Cd in oggetto, impreziosito da alcune suggestive foto d’epoca) del metal italiano si addice perfettamente ai nostri, soprattutto perché il loro approccio alla NWOBHM non era affatto semplicistico o dozzinale e la passione per Angel Witch, Saxon e Iron Maiden si traduceva in qualcosa di alquanto diverso da un maldestro tentativo di sterile clonazione (per quanto mi riguarda, ho letteralmente consumato la loro cassetta dimostrativa anch’essa intitolata “Escape”, che proponeva gran parte dei titoli che trovate in questo disco!).
Fortunatamente, per merito di questi due attenti e capaci operatori del settore discografico nazionale, tutti possono ora facilmente rendersene conto in prima persona, evitando di doversi fidare esclusivamente del giudizio di qualche
attempatello appassionato di musica metal, consentendo all’uditorio nella sua interezza di convergere senza eccezioni nell’affermare che questo tipo d’operazioni di “riscoperta” vanno accolte con il massimo del consenso e del supporto possibili.
Ovviamente non bisogna attendersi una resa sonora esplosiva (nonostante il buon lavoro di ri-masterizzazione svolto da Beppe Geracitano), trattandosi di registrazioni risalenti al 1984 (i primi tre brani, uno strumentale e due pezzi con Cristian alla voce) e al 1986 (catturati live in studio), così com’è riscontrabile un pizzico di
naiveté tipica di una band che già molto promettente e abile, arricchita da un chitarrista dall’enorme capacità (consentitemi un piccolo flashback … lo incontrai ai tempi del suo fenomenale demo “On the road”, pubblicato con le “sembianze” di
Chris Holder, a cui presero parte anche Fabrice Francese – Hurtful Witch, Tredegar, Treason, Paul Chain, … - Elio Maugeri degli Elektradrive e lo stesso Max Cavagliato, e pur nella superficialità di un breve scambio di battute, mi diede la netta impressione di un ragazzo fin troppo vulnerabile e fragile per interpretare efficacemente il ruolo del
guitar-hero …), non aveva ancora raggiunto la completa maturità della sua espressione artistica.
Non rimane che raccomandare la pregiata testimonianza postuma di un gruppo che avrebbe meritato sicuramente una migliore sorte e che, dalla vagamente sgranata ma vivida immagine di copertina, sembra voler ribadire, riaffiorando da un “passato” solo apparentemente molto distante, che spesso non è sufficiente il talento per affermarsi e che il classico motto
live fast die young è una stupidaggine che va bene solamente nei testi delle canzoni.