Dopo il buon successo del precedente "Devoid" (che ha scatenato anche l'interesse della Metal Blade), i parmensi Dark Lunacy tornano all'assalto con il loro secondo full-lenght "Forget Me Not". Come nel caso del precedente lavoro della band ci troviamo davanti a un death metal (che a volte quasi sfocia in un furioso black) "drammatico" (come i membri della band amano definirlo) che si lascia molto contaminare da elementi doom e classici: il marchio di fabbrica di questo album è infatti un quartetto d'archi che, con le sue timbriche cupe e cristalline al tempo stesso riesce benissimo ad esprimere il senso di sofferenza e malinconia di cui i Dark Lunacy hanno voluto riempire l'album. La produzione è di buon livello, e se si considera che il disco è stato interamente registrato in uno studio attrezzato in casa del chitarrista Enomys, i risultati raggiunti sono notevoli: ogni strumento si ritaglia il suo giusto spazio nell'insieme, in particolare i suoni di chitarra sono davvero di pregevole fattura; buona è anche la resa delle parti classiche riservate al quartetto d'archi: non è stato sicuramente un lavoro semplice assemblare brani così complessi e ricchi ma il risultato raggiunto ricompensa gli sforzi profusi. Unica pecca, per quanto riguarda la produzione, i suoni di batteria, forse troppo moderni per ben amalgamarsi nell'insieme e per non stonare con le timbriche degli archi. Le prestazioni dei quattro musicisti sono assolutamente impeccabili, e mi preme sottolineare il grande lavoro di Baijkal dietro le pelli.
Le songs presenti sul disco sono molto diverse fra loro, ma tutte accomunate dal medesimo "Dark Lunacy Style", (come lo ha definito il cantante Mike in un'intervista che potete trovare qui su EUTK.NET): si va dalle sfuriate di pezzi come "Through The Non Time" o "My Dying Pathway" alle atmosfere più calme di "Serenity" o "Lunacyrcus" fino a sconfinare quasi nel black più truce con "Die To Reborn". Unico fattore che pende a sfavore di "Forget Me Not" è la quasi inesistente innovazione (anche se la cosa potrebbe non interessare tutti) e il voler a tutti i costi restare legati a cliché di cui forse si è un po' troppo abusato...
Rispetto al precedente "Devoid" il songwriting si è fatto molto più aggressivo, articolato e strutturato; i pezzi hanno una durata media superiore ai 6 minuti e, come prevedibile, l'assimilazione completa potrebbe richiedere più di un ascolto; dopo essere entrati in sintonia con la band però, non risulterà difficile apprezzare questo onesto prodotto che mette in luce la grande espressività e creatività di una band che è ormai una bella realtà del panorama italiano.
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