Oggi parliamo di
feeling.
Quante volte abbiamo sentito citare questo termine e lo abbiamo caricato di gravose responsabilità arrivando a considerarlo come il vero ago della bilancia nella valutazione di un prodotto artistico? Moltissime, anzi, diciamo che nel caso del sottoscritto esso è davvero l’elemento discriminante di un giudizio, anche (e soprattutto) in generi dove tecnica e fantasia sembrano avere un ruolo dominante. Il caso del prog-metal è sintomatico. Si possono apprezzare le doti di preparazione specifica dei musicisti e la loro estrosità compositiva, ma se poi tutto questo si traduce in un’esposizione “fredda” e autoreferenziale, il risultato finale appare ben lontano da quell’olimpo (almeno dal “mio” ...) dove placidi risiedono gli eroi. Ebbene, arrivati all’oggetto del contendere di questa disamina, i
Twinspirits, e parafrasando il titolo di una canzone di questo ottimo “The forbidden city”, i nostri non ce la fanno proprio a
nascondere questo feeling che li pervade, a reprimere questa misteriosa sostanza che profusa copiosamente da ammalianti melodie e combinata ad arte con massicce dosi di temperamento e di cultura specialistica, realizza quella difficile alchimia cui è impossibile (oltre che
masochistico) sottrarsi.
Dietro a questo
mistico monicker opera un gruppo di musici veramente abili e ispirati, agli “ordini” di un certo Daniele Liverani, un personaggio che da solo, per quanto ha prodotto fino ad oggi (Khymera, Genius, Empty Tremor…), fornisce credibili garanzie di qualità, ma anche con queste “tranquillizzanti” credenziali il nuovo disco di questo progetto sorprende per la sua impressionante forza espressiva che cancella, per esempio, la pur buona prestazione complessiva offerta nell’esordio “The music that will heal the world” pubblicato nel 2007 sotto la medesima denominazione.
Parecchi dei meriti di questa fascinosa
progressione sono da assegnare al vocalist Goran Nystrom, la new-entry dotata di una timbrica duttile ed evocativa (a volte dagli accenti vagamente Dio-esque!), capace di passare agevolmente dai toni intensi a quelli maggiormente estesi ed aggressivi (sentitelo in “Number one” …) senza perdere di espressività e tuttavia quello che sembra fare la differenza maggiore è l’acquisizione di una “maturità” comunicativa che era mancata nel debutto.
Ecco che le allusioni alle strutture armoniche dei maestri del genere (Dream Theater, su tutti) e certe importanti manifestazioni di “superiorità” strumentale, diventano parte integrante di un “discorso” più ampio, mutevole e sfaccettato, dove la capacità di “raccontare” e di stimolare profonde vibrazioni emotive manifestando i propri “sentimenti” artistici, appare come il vero tema centrale.
Da tale situazione prende vita un lotto di
canzoni (il termine è da intendere nel suo senso più nobile!) invidiabili per chiunque si appassioni a questo tipo di musica, piuttosto articolate e pure così spontanee, in grado di apparire enfatiche e virtuose, audaci e persuasive, serrate e luminose, ricche di pathos, malinconia e carica, in un connubio appassionante nella sua totalità.
Se poi vogliamo
per forza effettuare una sorta di classifica di merito o perlomeno indicare i titoli che tradiscono un minimo diritto di precedenza nell’ascolto, direi che la title-track, “Taste the infinity”, “One of us”, “My future” e la favolosa “Reaction” possono incarnare abbastanza efficacemente questo delicato ruolo, anche se è altresì necessario ribadire con forza l’elevato standard qualitativo di tutto il programma disponibile.
I Twinspirits di “The forbidden city” sono capaci, adeguatamente fantasiosi, intelligenti e sanno anche sollecitare un bel numero di gangli non residenti nel cervello … In altre parole, veramente un’eccellente interprete della migliore razza metal-prog.
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