Iniziamo con un paio di quesiti assolutamente necessari e discriminanti … Ritenete che ispirarsi palesemente non solo a un certo tipo di suono, ma a un gruppo in particolare, manifestando una spiccata capacità nel replicarne l’approccio artistico, sia una scelta
eticamente accettabile? Vi piacciono i Def Leppard?
Se avete risposto positivamente a entrambe le domande, potete continuare a leggere questa recensione e magari aggiungere il nome dei
Grand Design all’elenco (sempre più corposo, n'est-ce-pas?) contenuto nelle Vs. “wanted lists” personali, in caso contrario il consiglio è di passare oltre, poiché in “Time elevation” non credo proprio ci sia qualcosa che possa in qualche modo interessarvi.
A questo punto, alla lettura dovrebbero solo più esserci fans del mitico gruppo di Sheffield che non si “scandalizzano” se una band decide di rendere omaggio (
consapevolmente, per fortuna qui non ci troviamo di fronte al classico:
Def Leppard? Mai ascoltati!) a uno degli inventori del pop-metal nella sua forma più dinamica, nobile e trascinante.
Se, poi, questa palese ascendenza si traducesse in una modalità operativa maldestra e fastidiosamente imitatoria nella sostanza compositiva, sarei il primo a criticare apertamente una soluzione francamente poco produttiva, ma nel caso di Pelle Saether (già vocalist di Zeelion, Zello e Schizophrenic Circus, nonché produttore per Cryonic Temple, Axenstar, Steel Attack, …) e dei suoi pards, la situazione è piuttosto diversa, dal momento che qui si tratta di aver realizzato una manciata di ottime canzoni, scritte con dovizia e vitalità, eseguite con classe e competenza,
solamente sfruttando lo schema espressivo “inventato” e portato al successo da qualcun altro.
Dal punto di vista di temi quali
carisma,
temperamento e
carattere artistici
tout court, l’operazione presta il fianco a giustificabili diatribe, eppure se parliamo di gusto d’ascolto, d’istantaneo coinvolgimento emozionale testimoniato da repentini tentativi di riproduzione di refrain e cori, “Time elevation” mostra tutto il suo valore, manifestandosi come un’adrenalinica collezione di enfatiche e plananti stratificazioni vocali, leggere rifiniture elettroniche, scansioni ritmiche poderose e sequenze inarrestabili di coloratissimi e rampicanti riffs chitarristici, ammantati da una freschezza nel songwriting che sembra
quasi frutto delle sinapsi cerebrali dei maestri originali e comunque, senza incorrere in eccessive iperboli, contribuisce fattivamente ad escludere l’aggettivo
arido dai possibili utilizzabili per una sua valutazione.
“Love sensation”, “Slugged out”, “Air it out”, “Sad sound of goodbye” (con una “ascensione” canora
degna di Steve Perry!), “No time for love”, “Hello Mr. Heartache” e “Sheik iddup” sono la migliore dimostrazione che i Grand Design hanno appreso davvero bene la lezione del Leopardo Sordo britannico, per il diletto immediato, senza troppe paranoie, di chi si procura notevoli dosi di piacere cardio-uditivo con quell’anthemico “big 80’s rock” che sembrava dimenticato e che oggi riconquista credibilità e apprezzamenti.
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