Tre su tre.Se davvero dovessero volerci otto anni per ascoltare un altro album di questa caratura, beh, amici lettori, vi dico che sarei tranquillamente disposto ad aspettare. Se mi dovessero dire che Portnoy lascia i Dream Theater per suonare solo nei
Transatlantic, ne sarei più che felice… Insomma, preparatevi a leggere la modesta recensione di quello che, per il sottoscritto, è l’album dell’anno 2009.
Settantasette minuti di viaggio sonoro, sbocciato dalla penna dei 4 geni dietro al monicker Transatlantic, ma sentirete lontana un miglio (se la saprete riconoscere) la mano di Neal Morse e Roine Stolt su tutti. 77 minuti, si diceva, divisi in 12 movimenti, durante i quali la rediviva all-star band crea un intricato paesaggio sonoro, poggiante su una solida base prog-rock di stampo settantiano, ma lasciando ampio respiro alle ispirazioni dei singoli esecutori. Una storia di dolore, speranza e redenzione, velatamente ispirata dalla svolta cristiana di Neal, ma mai estremizzata nelle sue liriche verso tagli prettamente cattolici, che fa da base ad un’esibizione sonora che ha dell’incredibile. Quattro musicisti all’assoluto apice esecutivo, in grado di spremere dai rispettivi strumenti il succo più puro ed incontaminato, con la classe sterminata che solo i Grandi possono avere. E se avete paura di un Mike Portnoy formato Dream Theater, padre padrone e sfrantuma-tutto, beh, vi dico candidamente che la sua esibizione su “
The Whirlwind” è, a mio avviso, la migliore da un decennio: gusto, stile, tocco e bilanciamento tra le mani di un batterista che ha finalmente trovato degni compari, in grado di ricordargli di SUONARE come dio comanda,
e basta. E questo fa, lo zio Mike, con una perizia davvero d’altri tempi. Un piacere per le orecchie.
Smembrare “The Whirlwind” in sezioni, seppur contro le intenzioni della band, è evidentemente logico, in quanto, al di là di quanto strombazzato, qui le sezioni ci sono, sebbene egregiamente fuse ed intercalate l’una nell’altra. La voce di Neal, peraltro, assume in questo disco un taglio un filo più rauco ed aggressivo che in passato (già udito, in parte, nel suo “Sola Scriptura”), e si lascia deliziosamente affiancare da quelle dei suoi tre compagni di viaggio, mai così in equilibrio tra di loro.
Prog-rock, si diceva, ma non mancano momenti più muscolosi (“
Evermore”, “
Lay down your life”, più varie sezioni sparse qua e là), in cui le chitarre di Roine Stolt possono ruggire, sostenute da una sezione ritmica da paura. Come ogni capolavoro che si rispetti, troverete anche l’eccesso opposto, ossia rarefatti momenti in punta di pianoforte (“
Is it really happening?”), che sanno essere coinvolgenti e struggenti come poca musica sentita da queste orecchie negli ultimi decenni. Sin dalla magniloquente “
Overture/Whirlwind”, verrete trascinati in un vortice di emozioni, che vi faranno correre a perdifiato nelle sensazioni più intense, o soffermarvi stupiti ad ascoltare il sussurro di un pianoforte… Su tutto, imperante, svetta il tipico trademark Transatlantic, riconoscibilissimo nelle sue influenze Beatles-Pink Floyd-Genesis, e che anche in questo terzo album esplode in ogni singola nota, grazie anche ad arrangiamenti da dieci e lode, e ad un solismo semplicemente geniale, ma mai invadente.
Se eravate estimatori dei Transatlantic, e sognavate da anni il risveglio della vostra super-band preferita, correte a perdifiato a comprare il nuovo album. Se, invece, non conoscete ancora questa meravigliosa creatura, è il momento di cominciare. Fate vostro “
The Whirlwind”, un disco di progressive rock di una bellezza sconcertante. E poi non dite che non ve l’avevo detto. COMPRATELO.
P.s. Avete presenti le voice-over, che molte labels mettono sulle canzoni per impedirne la copia? Beh, qui anche quelle sono fatte da Morse e soci! Che teste…