La prima parte della storia di un gruppo come i
Fear Factory la conoscono tutti, anche quelli che al metal associano per prima cosa nomi come Marylin Manson e Pantera, tanto perchè l'hanno sentito per sbaglio da MTV, in quanto la band statunitense è di fatto una delle più importanti ed innovative all'interno del metal contaminato.
La storia recente è costellata invece da ben altri argomenti, tra dischi ridicoli, litigi degni dei bambini delle elementari e delusioni/illusioni dopo album che dovevano segnare la rinascita dei Fear Factory, alla luce del successo di "
Archetype".
Invece ecco che arriva "
Transgression", un flop mondiale di dimensioni clamorose, che rigetta la band nell'oblio e la ridimensiona non poco, basti vedere il passaggio di label dalla celeberrima Roadrunner alla ben più modesta AFM, quasi segno che la band di Burton Bell possa essere ancora appetibile in Europa ma ormai "roba vecchia" negli Stati Uniti.
Tutto questo all'indomani di "Mechanize", il capitolo del rilancio, perlomeno mediatico, dato che è il disco che vede il rientro del figliol prodigo
Dino Cazares alla chitarra e nientedimeno che
Gene Hoglan alla batteria, insomma due fuscelli.
Diciamocela tutta: i due nuovi entrati hanno alzato così tanto il livello degli attuali Fear Factory? No, manco per niente.
La sostituzione non è assolutamente giustificata e sebbene Cazares e Hoglan non abbiano bisogno di sostenitori o difensori, dato che la loro fama è più che nota e sacrosanta, non si comprende la fuoriuscita di
Olde Wolbers, che si era sempre comportato musicalmente in maniera impeccabile negli anni passati, e specialmente di
Ray Herrera che era una delle punte di diamante dei FF.
Ok, guardiamo avanti e pensiamo solo a "
Mechanize", un album più che buono, questo possiamo dirlo, ma che non ce la fa ad uscire vincitore dal confronto con "Archetype"; la superiorità con "Transgression" è indiscussa ma la sola assenza odierna di nefandezze come "
Supernova" avrebbe reso qualsiasi album migliore di quello.
Piuttosto c'è da dire che il disco appare quasi spezzato in due tronconi, quello iniziale che punta principalmente sull'impatto e la brutalità, e quello finale più ragionato e melodico; indubbiamente più riuscito il secondo, alla luce di brani come ad esempio la title-track o "
Powershifter", troppo monolitici e statici, in cui si sente fin troppo la mano di un arrugginito Cazares; ottimi invece i momenti più vari e melodici, in cui Burton perlomeno in studio sembra ormai a dir poco a proprio agio, come la bella "
Industrial Discipline", "
Controlled Demolition", "
Designing the Enemy" e la conclusiva "
Final Exit", quasi una suite da oltre 8 minuti che ci rimanda ai bei tempi di "
Pisschrist" e di "
Demanufacture" ed "
Obsolete", uno dei momenti migliori del disco.
In questo caso comunque, ovvero nei momenti più relaxed e melodici della band, lo stile è pari pari quello del tanto odiato "
Transgression", che però presentava 3 o 4 brani assolutamente sopra la media come "
540,000 Degrees Fahrenheit", uno dei migliori della storia della formazione losangelena, "
Moment of Impact" o "
Spinal Compression"; il difetto di "Mechanize" è proprio questo, un album di livello globale indubbiamente e di gran lunga superiore ma che è priva di "hits" o di picchi memorabili.
Per il resto un buon album che riporta i
Fear Factory nella giusta carreggiata, nella speranza che capiscano una buona volta che le svolte commerciali alla "Digimortal" o, appunto, alla "Transgression" non interessano proprio a nessuno, anzi, li porteranno prematuramente alla tomba; e nella speranza che il ritorno di Cazares la prossima volta, magari con un po' più di calma, possa fare il miracolo e riconsegnarci un band leggendaria, anche se, ci duole dirlo, siamo alquanto scettici a riguardo.