Veramente il disco che non mi aspettavo.
Non per il genere ovviamente, stiamo d'altronde parlando dei paladini del
gay metal, happy metal, sugar metal o come volete chiamarli, i
Freedom Call del buon pacioccoso
Chris Bay che continua a cospargere il globo di melassa, pace e serenità, alla faccia di tutti quelli che associano il metal al demonio, al male, a Berlusconi.
Tuttavia negli ultimi anni lo stato di forma della band tedesca era scemato non di poco dopo i botti iniziali degli esordi e così alla luce dei solamente decenti "
Circle of Life" e "
Dimensions", rispettivamente 2005 e 2007, mi sono avvicinato a questo nuovissimo "
Legend of the Shadowking" con l'aria scazzata di quello che dice "
sì ma fa solo toast, pizzette..", invece ci sarebbe stata bene la moglie a dirmi "
pizzette? come queste?" ed al posto delle pizzette una bella copia del nuovo disco a lasciarmi zittito e basito.
Sì perchè questo "
Legend" è veramente un ottimo disco di power metal, molto ispirato, senza cali, con buonissimi brani, ovviamente gioiosi e giulivi come solo loro sanno fare e senza utilizzare melodie stantie e noiose già al secondo ascolto; non stiamo parlando di capolavoro, un termine un po' troppo abusato specialmente quando si parla di nomi di prima fascia e troppo dimenticato non appena si esce dal seminato (chi ha detto
Keldian?), tuttavia i Freedom Call hanno confezionato un must per tutti gli amanti del power, specialmente alla luce della cocente delusione di Gamma Ray.
Sugli scudi l'opener "
Out of the Ruins" che come è giusto presenta il disco in modo degno e dà la carica a tutto il resto, la strasentita ed abusata "
Thunder God" (una copia della canzone "
Freedom Call"), specialmente con i licks iniziali, ma sempre efficace, una garanzia; "
Tears of Babylon" ci riporta i Freedom Call dei primi due dischi, con le trombette a tutto spiano, un po' alla "
Land of the Light", mentre "
Resurrection Day" mantiene le promesse del titolo e ci fa resuscitare i
Gamma Ray di "
Somewhere Out in Space", restituendoci il sorriso a fronte delle ultime uscite di Kai Hansen.
Un po' anomale nel complesso risultano la lenta "
Under the Spell of the Moon", quasi AOR nel suo incedere cromato, la doppietta oscura "
The Darkness" / "Dark Obsession", il prologo "
Ludwig II", molto evocativo e cantato in tedesco, quasi adatto a bands pagan come i
Menhir, la rockeggiante statunitense "
Kingdom of Madness", quasi alla WASP, ed in ogni caso molto godibile, e la stralunata "
A Perfect Day".
Senza dubbio un ottimo ritorno per
Bay, Zimmermann e compagni che ci restituisce dei Freedom Call in forma, anche a loro agio e coraggiosi su territori a volte inesplorati per loro, maggiormente "seri" e cadenzati, proponenti del power metal 100% di qualità.