Fa piacere pensare che, in un mondo dove tutto viene preso di fretta (non solo musicalmente parlando), c'è ancora qualcuno che ha voglia di fare le cose con calma, in questo caso... molta calma. Suonare doom, e anche ascoltare seriamente doom, dev'essere un vero e proprio stile di vita. Suonare doom forse significa distillare sensazioni di dolore e tristezza, sintetizzare malinconia da dare in pasto a persone che se ne nutrono ogni giorno della loro vita. Se questo è davvero il senso del "suonare doom", allora i Mourning Beloveth hanno colpito nel segno. Debitori della scena doom inglese (My Dying Bride, Anathema...), gli irlandesi hanno deciso di lasciarsi completamente andare a ruota libera con il secondo album raggiungendo risultati che nessuno avrebbe potuto immaginare... certo, l'influenza degli Anathema è sempre fortissima, ma con "The Sullen Sulcus" la band ha raggiunto un livello di maturità artistica che le permette di potersi finalmente scrollare di dosso le ombre del passato. La musica dei Mourning Beloveth è semplice nei tempi e nelle strutture, oltre agli strumenti classici non ci troverete nient'altro... niente violini, niente pianoforti, niente arrangiamenti sinfonici, solamente qualche coro qua e là. Questa scelta, a mio parere, si rivela vincente e mette completamente a nudo l'anima oscura degli irlandesi, bravissimi nel creare atmosfere che attraggono e inquietano allo stesso tempo. Il basso pulsante, le chitarre circolari, il profondo growl del cantante e un batterista in grado di rendere vario anche il suo operato a lente velocità sono il nucleo di un gruppo che è riuscito a comporre più di un'ora di musica interessante solo con questi elementi, senza esagerazioni nè pretese. Ed è per questi motivi che sento che "The Sullen Sulcus" sarà in grado di lasciare il segno nei cuori di chi vive giornate scandite dall'opprimente tempo del doom.
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