“Diamond dealer” è il disco perfetto per i fans di
Steve Overland.
Se in passato avete amato FM, The Ladder, Shadowman e avete inseguito con ardore ogni circostanza in cui Steve ha concesso la sua pastosa laringe, non potrete che adorare anche questo suo secondo lavoro solista a nome
Overland.
Sarebbe meglio dire che si tratta di un Cd adeguato ai gusti di tutti quelli che apprezzano il suono
diamantino e levigato dell’AOR, mescolato con imponenti bagliori di hard-blues ad elevata gradazione “spirituale”, ma sono altresì certo che chi sostiene tale approccio sonoro è matematicamente pure un fedele tifoso del fantastico Steve, uno dei più autorevoli propugnatori di quella tradizione vocale ed interpretativa cesellata da maestri quali Paul Rodgers, Steve Winwood, Lou Gramm e Michael Bolton.
Sostenuto da una formazione di notevole qualità, preparazione e prestigio, il vocalist britannico marchia a fuoco tutte le canzoni dell’album con il suo talento naturale nel conferire alla sua intonazione un “soffio”, un’eleganza ed un tepore capaci di scongelare e rianimare anche il più esanime degli apparati cardio-uditivi.
Certo, non è sufficiente una voce di notevole statura artistica per produrre grande musica ed ecco che si rende necessario esternare un dovuto plauso al songwriting di “Diamond dealer”, che vede impegnati lo stesso titolare dell’opera e il suo attuale (piuttosto noto) chitarrista norvegese Tor Talle, una partnership molto feconda per gran parte del programma a disposizione, e che comunque si mantiene su discreti livelli anche nei casi in cui un pizzico di “mestiere” sembra prendere il sopravvento sull’ispirazione più autentica.
“Train, train” è un gioiellino di passionalità e verve, e anche “Where is the love”, “City of dreams” e “After the storm” sono momenti di raffinata vitalità, mentre tocca a “Brave new world” e “Hearts don’t lie” scavare nel profondo dell’anima dell’ascoltatore ovviamente soggiogato da tanta sensibilità e intensità.
L’hard blues sofisticato di “Roll back the years” combina Bolton e The Law e con il tocco vagamente pomp di “Bring me water” si esauriscono le mie menzioni d’onore all’interno di una collezione di brani degni, in ogni caso, di essere ascoltati tutti con attenzione, riservando sempre piacevolezza e apparendo ben lontani dal dover subire l’onta dello “skip”.
Una produzione eccellente valorizza in maniera significativa un’incisione di rimarchevole tenore artistico complessivo, destinata, come già ampiamente rilevato, ai rockers che prediligono circondarsi di
classe e
lusso e che ratifica ancora una volta le doti di un cantante per cui l’espressione “one in a million” non appare per nulla iperbolica.
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