Perdonate l’ignoranza, ma…esiste il prog indie? Se esiste, ho scoperto che non mi piace. Se non esiste, questi
Six Gallery sono dei geni assoluti perché hanno inventato un genere. Più modestamente, credo che siano solo una band alla ricerca di una precisa identità.
Sanno suonare, non c’è dubbio, ma sfruttano clamorosamente male le proprie potenzialità, dando vita a un lavoro che annoia davvero troppo in fretta. Accanto ad arrangiamenti pregevoli, come ad esempio lo splendido lavoro chitarristico di sottofondo che fin dalla prima traccia accompagna la gran parte dei brani, infatti, sono presenti davvero troppi momenti lenti, che si trascinano strazianti per lunghi minuti senza mai incidere. Il maggior punto debole di questo lavoro è che più della metà delle canzoni appaiono assolutamente identiche anche dopo parecchi ascolti. Quando accade una cosa simile, vuol dire che qualcosa nel processo di songwriting non va. Inoltre, la voce del singer
Daniel J. Francis, sicuramente intonata e ben registrata, è veramente troppo vicina agli stilemi grunge/alternative per poter convivere in pieno agio con sonorità progressive. È infatti proprio la voce a portare fuori strada il disco, che quasi perde di senso in diversi momenti. Per capire cosa intendo, basterebbe ascoltare la conclusiva
Smile Like A Switch, che riprende le linee melodiche già sentite nella maggior parte delle canzoni precedenti e arranca verso la conclusione molle e senza alcun sussulto. Comunque, non tutto è da buttare e ci sono anche pezzi riusciti come
Build To Last, la migliore di tutto l’album.
Consigliato solo a chi ha voglia di essere alternativo a tutti i costi. D’altra parte il titolo lo dice chiaro: “
Breakthroughs In Modern Art”. Il mondo dell’arte moderna è pieno di critici boriosi che elogiano tavanate galattiche. Se vi riconoscete nel personaggio, questo disco fa per voi.
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