Band progettata per il divertimento e la provocazione, gli AntiProduct giocano la carta di un punk rock di stampo Americano piuttosto leggero ed orecchiabile, puntando al contempo sull’aspetto visivo e sul contorno.
Un cantante bizzarro e macchiettisticamente colorito, buffi nomignoli, la presenza di tre sexy-girl in formazione, l’evidenza di gente che non si prende troppo sul serio e suona “only for fun”.
Brani ritmati e gradevoli, chitarre pesanti ispirate al metal e vocals sghembe dell’istrionico singer, uso costante di cori melodici femminili che addolciscono il tiro garantendo un respiro orecchiabile e radiofonico, indispensabile per uno stile che non vuole essere niente più che da party-band. Dunque nulla di memorabile, ma le canzoni scorrono generalmente bene nel segno dell’allegria e non richiedono grossi sforzi cerebrali per essere assimilate.
Piacciono in particolare gli episodi più tirati e spessi come “Turn me on”,”Better than this” o la ruvida e distorta “Hu nah nu nah”, meno le scorribande pop-punk un po’ mollicce di “Girls who wanna be boys” e “My favorite can”, ma è accettabile in un lavoro che non accampa pretese di entrare nella storia della musica.
Sfogliando il booklet si intuisce che gli AntiProduct dietro all’immagine scanzonata infilano anche qualche messaggio politico anti-Bush ed anti-sistema, ma sempre in maniera umoristica e priva di connotati violenti.
La loro piccola vena di follia viene confermata da una doppia ghost-track con una prima parte acustica e cantata da Milena Yum, ed una seconda interamente eseguita con il kazoo (!?). Coronamento di un album tutto sommato discreto che può interessare chi apprezza il punk leggero e non militante.
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