Qualunque sia il giudizio finale su questo debutto, non si potrà certo sostenere che gli
Stargazer hanno avuto una particolare
fantasia nello scegliersi il proprio monicker.
Niente di male, soprattutto se poi, alla prova dei fatti, i nostri norvegesi fossero stati in grado di impegnarsi quantomeno nella componente squisitamente artistica della loro proposta, distinguendosi in qualche modo dalla miriade di bands dedite a forme di hard-rock melodico di chiara ispirazione eighties.
Purtroppo nemmeno da questo punto di vista ci sono notizie “eclatanti”, il disco appare un gradevole e competente seguace di quella “tradizione”, tra congenita matrice scandinava e retaggio anglosassone, ma non riesce in alcun modo a emergere in maniera sostanziale da una concorrenza sempre più agguerrita e numerosa.
E sì che la presenza di Morten “Morty Black” Skaget e di Steinar Krokstad (noti per la militanza in TNT e Stage Dolls, rispettivamente, nonché entrambi
partners in crime di Jorn Lande e Ronni Le Tekrø nei Vagabond) avevano fatto sperare in qualcosa di più “sostanzioso”, che unisse abilità tecniche a vitalità creativa, mentre, in realtà, è probabilmente solo la prima ad affiorare, lasciando la seconda a lambire dalle parti di una bella “calligrafia” non altrettanto avvincente sotto il profilo emotivo.
Non vorrei, a questo punto, che si scambiasse “Stargazer” per un disco completamente “inespressivo”, credo, al contrario, che esso possa rappresentare un più che plausibile acquisto innanzi tutto per tutti quelli che adorano i Whitesnake “americani”, i Van Halen, i Blue Murder, i Lion, i TNT, Ozzy, e, in parte, risultare consigliabile anche per i fans dei Dokken e dei Lynch Mob, ma vista la ricchezza dell’offerta nel medesimo settore di competenza e un sempre minore interesse nelle “cose” discografiche, ritengo che per fare la differenza non bastino più un discreto cantante (la valutazione sarebbe anche maggiormente gratificante, soprattutto per il bel timbro, se solamente Tore Andrè Helgemo non indugiasse un po’ troppo nella pratica dello “strafare”), un ottimo chitarrista (William Ernstsen sa decisamente il fatto suo, sia nell’arte del fraseggio, sia in quella del solismo di qualità), una solida sezione ritmica, impegnati in un pregevole “riciclaggio” di suoni fortemente familiari.
Mancano, insomma, canzoni veramente incisive, che assieme ad un inevitabile deja-vu (non necessariamente deleterio!) riescano anche a scatenare brividi d’approvazione, a rimanere impresse nella memoria e non solo per delle evidenti similitudini con certe ormai “mature” antesignane.
“Brother against brother”, “Keep the good times”, “Dancing on your grave” e pure le belle melodie “ultra-classiche” di “Working on the end” e “This is the night”, nonché i guizzi di “Window to the world”, appaiono in questo contesto, i momenti migliori del disco, mentre altrove si rimane nell’ambito di una piacevolezza soverchiamente effimera ed epidermica.
Gli Stargazer, per il momento, si accomodano nella “sala d’aspetto” riservata ai gruppi dotati di buone qualità e tuttavia non ancora pronti per ambire alle zone elitarie del genere … Con questi mezzi, un rilevante gusto melodico, correggendo qualche piccola intemperanza vocale e “osando” appena un po’ di più, potranno lasciare molto presto quella scomoda e affollata situazione.
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