A dimostrazione che a volte chi “la dura la vince”, arriva finalmente la prima pubblicazione discografica, nell’ambito dell’amato prog-rock, per
Mario Cottarelli, un valente multi strumentista (per lo più autodidatta!) classe 1956, che dagli anni settanta bazzica il controverso mondo della musica tricolore e da allora cercava di concretizzare la sua passione per tale nobile specializzazione artistica.
Dopo essere passato in ambiti sicuramente meno “aristocratici”, ma probabilmente più redditizi (dance, orchestre da ballo), è grazie alla ravennate New LM Records che il nostro Mario riesce a coronare il suo “sogno”, materializzatosi attraverso questo “Prodigiosa macchina” degno rappresentante del suo eclettismo stilistico e compositivo, della sua notevole cultura nella ricerca dei riferimenti, della sua “anti-commercialità”.
E’ proprio da quest’ultimo elemento che intendo iniziare la mia disamina: in aggiunta all’evidente ammirazione per gli
evergreen Genesis, la devozione per la “via italiana” al genere e le attinenze con Banco del Mutuo Soccorso, Le Orme, Balletto di Bronzo, PFM, Biglietto per l’Inferno, La Locanda delle Fate, ecc. è assolutamente encomiabile e dimostra che Mario non è molto interessato ad inserirsi in qualche fantomatico filone “neo-prog” e che guarda più ai geni di casa nostra (che pure tanto hanno imparato dai loro illustri colleghi britannici!) che ai tanti “replicanti” della migliore stagione “barocco-romantica” del rock inglese, ma bisogna anche dire che dopo “tanta fatica” e con questi presupposti artistici era certamente auspicabile una situazione complessivamente più propizia alle sue floride prerogative.
Cominciamo dalla copertina, caratterizzata da un art-work anonimo e per nulla pertinente all’intrigante contenuto del disco e continuiamo con un suono un po’ troppo “freddo” per trasmettere adeguatamente la magia e la profondità delle composizioni e finiamo con una voce
atipica, non particolarmente deficitaria e tuttavia ben lontana dall’essere realmente incisiva e fornire un sostanziale supporto emotivo all’opera.
Una realizzazione interamente in “proprio”, con l’ausilio di campionamenti e tecnologia, in una produzione ineluttabilmente “artigianale”, rappresentano le evidenti attenuanti per il lavoro di un artista che però avrebbe meritato molto di più, vista la sua notevole verve creativa almeno dal punto di vista musicale, mentre, come già anticipato, non convincono del tutto né la sua timbrica, né i suoi testi, interessanti sotto il profilo concettuale, eppure troppo didascalici ed “ingenui” nell’esposizione lirica.
Le tre brillanti ed articolate suites appaiono pregne di mutevoli umori progressivi, sviluppati con notevole gusto e un bel tocco personale, senza dimenticare di aggiungere al tutto un piacevole alone pop, capace di “alleggerire” un clima comunque sempre molto appetibile per i numerosi estimatori della laboriosità e dell’imprevedibilità esecutiva.
I suddetti limiti canori rendono lo strumentale “I cori della Via Lattea”, con le sue fascinose citazioni oscure e vagamente “sinistre” (tra Goblin, certi Nuova Era e bagliori del Balletto di Bronzo, inseriti in un contesto dove le modalità operative della PFM e scorie di rock “cosmico” fanno sentire il loro peso), il pezzo complessivamente meglio riuscito del lotto, ma anche la lunghissima title-track e la vitale “Il pensiero dominante” (a tratti affine al mitico Banco) propongono stimmate d’ingegnosità rara, guidata, oltre che da illuminate sinapsi cerebrali, anche da tastiere esuberanti e sensibili, per un prodotto che avrebbe potuto essere ben superiore, vista l’intrinseca qualità del materiale compositivo e che invece ci “costringe” a sperare che possa garantire a Mario Cottarelli la possibilità di una pronta replica, in cui la partecipazione di altri musicisti artisticamente “convergenti” e una maggiore “professionalità” complessiva, offrano il necessario contributo a una vocazione che non deve in alcun modo passare inosservata.
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?