Cosa è successo ai
Pain of Salvation?
Domanda difficile, conoscendo le varie direzioni che l’inafferrabile mente di Daniel Gildenlow è capace di prendere nel giro di un’oretta. Molti attendono febbrilmente un grande ritorno alle stampe dei ragazzi svedesi, che dopo un album discusso come “
Scarsick”, hanno pubblicato un DVD semplicemente delizioso, il cui unico difetto, forse, era quello di farti venire l’acquolina in bocca per il vecchio sound della band, quella mistura quasi indescrivibile di metal, prog, armonizzazioni vocali e tocchi delicati, una vera e propria goduria per le orecchie.
E invece? E invece il 2010 ci porta una band ancora alla ricerca di un bassista stabile, con il nuovo Leo Margarit alla batteria, che sembra far propendere la band più verso il suo lato jazz e/o sperimentale che su quello prettamente metal; e poi, i nostri partecipano ad una sorta di “Amici” svedese, con un Daniel stranamente curato nel look, ed una canzone morbida, accattivante ma pericolosamente lontana dalle coordinate storiche della band… E poi ancora? Ecco che, in attesa di “
Road Salt – part one”, album in arrivo presumibilmente a maggio, i quattro svedesi danno alle stampe questo Linoleum EP, mini cd contenente 6 tracce… e di colpo hai come la sensazione che qualcosa sia cambiato, irrimediabilmente, senza ritorno, senza possibilità di fuga da una realtà che si è costruita dolore dopo dolore, delusione dopo delusione (mettiamoci anche dentro il crollo della Inside Out, che ha costretto Daniel e soci a cancellare tour interi, e a perdere non pochi soldini). E ancora? Daniel in tour con i Transatlantic di Portnoy e Morse, e mille influenze sempre più diverse, sempre più imprevedibili…
Ecco il risultato di tutto ciò:
1 –
Linoleum: molto simile alla vecchia produzione, se non fosse per un sound volutamente lo-fi, pochissime tastiere, asciutto ed urlato. Non male.
2 –
Mortar Grind: vedi punto 1, Daniel urla, volutamente sguaiato, le chitarre quasi scordano, in un alternative rock che sa tanto di Jane’s Addiction… Caratteristico, strano, staticamente in quattro quarti…
3 –
If you Wait: pinkfolydiana nell’incedere, estremamente concentrata sulla voce di Daniel, tanto, pure troppo… Lisergica, quasi disturbante nella sua struttura onirica… il tutto in soli 2 minuti e 50…
4 –
Gone: semi acustica sin dall’inizio, molto Leonard Cohen, un po’ Radiohead, molto cantautoriale, in un modo che assolutamente non sta ai Pain of Salvation come li conoscevamo… La sensazione è che Daniel abbia infiltrato il suo germe nella band, che è ormai totalmente asservita ai suoi voleri… Chitarre slide, batteria sempre più minimale, tastiere quasi inesistenti, come in tutto l’EP. Inquietante, come molti dei brani di questo piccolo, strano cd.
5 –
Bonus Track B: praticamente, due chiacchiere sulla possibilità di realizzare una bonus track, che sarà poi la traccia 6, una sorta di “dietro le quinte” registrato in sala prove.
6 –
Yellow Raven: la preannunciata bonus track è una cover degli Scorpions, resa con il classico gusto nostalgico ed ovattato che contraddistingue i POS dei giorni nostri. Molto bella, seppur fine a se stessa.
Come tirare le somme? Un disco privo di ispirazione, che preannuncia l’inevitabile caduta dei Pain of Salvation, come sostengono in molti, o l’ennesima, imprevista evoluzione di una band troppo avanti per essere compresa? Avvisaglie di questo cambio di stile si erano già percepite in “Scarsick”, ma qui, di sicuro, si settano i pattern per il nuovo corso della band. Aspettiamo il full length, e stiamo a vedere. Comunque sia, sta di fatto che, ancora una volta, i Pain of Salvation sanno come far parlare di sé.