Pierpaolo Monti detto “Zorro11” è una vecchia conoscenza dell’underground musicale nostrano. Ideatore di Hardsounds, portale tra i migliori in circolazione, nonché organizzatore caparbio di festival piccoli ma che hanno sempre saputo offrire nomi di tutto rispetto nel corso degli anni.
Sapevo di questa sua grande passione per il rock, in particolare per l’hard melodico più ruffiano e patinato, ma mai più avrei pensato che avesse anche ambizioni artistiche. Oddio, mi buttò li qualche frase un paio di anni fa, riguardo ad un progetto che stava preparando, ma la cosa poi mi sfuggì di mente.
Oggi, con una copia di “Shining Line” tra le mani, i ricordi di allora tornano fuori. E prontamente si deve riconoscere che qui c’è qualcosa di veramente grosso in ballo…
Ma andiamo con ordine. Dietro il monicker “
Shining Line” si nascondono Pierpaolo Monti (batteria) e Amos Monti (basso), due amici che, a dispetto del cognome, non condividono legami di parentela ma solo una sana passione per il buon vecchio rock and roll. Zorro ha scritto un po’ di canzoni, le ha fatte arrangiare, suonare e produrre da Alessandro Del Vecchio, (master mind degli Edge of Forever e collaboratore fisso di band quali Moonstone Project ed Eden’s Curse), ha affidato le parti di chitarra a due altri amici, Marco D’Andrea e Mario Percudani, dopodiché ha chiamato un po’ di nomi della scena AOR internazionale (nulla di preoccupante, soltanto tizi come Michael Bormann, Harry Hess o Mikael Erlandsson, giusto per stare coi piedi per terra) e deve aver chiesto loro: “Hey, come te la passi? Ho scritto un pezzo che vedrei bene cantato proprio da te, che ne dici?”. E così via, di telefonata in telefonata, con la bolletta che, alla fine dei lavori, non deve essere stata di certo la voce più cara del bilancio.
Avrebbero potuto dargli del pazzo e del visionario. E molto probabilmente un po’ di gente l’avrà anche fatto. Progetti simili si realizzano se ti chiami Tobias Sammet, Arjen Lucassen o alla peggio Daniele Liverani. In pratica, gente con un nome da spendere, garanzie da dare in termini di vendita, ecc.
Evidentemente il nostro Zorro dalla sua aveva le canzoni. Perché questo disco spacca di brutto. Anzi, a voler ben vedere spacca come nessun disco AOR aveva ancora fatto quest’anno, forse solo l’ennesimo Last Autumn’s Dream, ma loro ormai è appurato che sono di un altro pianeta.
Al di là dei nomi coinvolti (la lista degli ospiti è chilometrica, fate prima a leggerla qui a fianco), ciascuno dei quali offre guarda caso una prova maiuscola, a colpire è proprio l’elevatissima qualità del songwriting. Un songwriting a tratti talmente modellato sulle caratteristiche vocali e stilistiche dei suoi ospiti, da lasciare totalmente esterrefatti, e che non può che valorizzare la grande conoscenza di Zorro in materia. E così, se l’opener “Highway of Love” sembra direttamente uscita dalla penna di Erik Martensson (Eclipse) e si dimostra il brano perfetto per aprire il disco, col suo chorus trascinante che non potrete non cantare da subito, la successiva “Amy”, cantata da Harry Hess, fa addirittura gridare al ritorno degli Harem Scarem! Prodigiosa è poi “Heat of the light”, per chi scrive il brano migliore del disco, che vede una Robin Beck ispiratissima alle prese con una linea vocale superlativa. E la signora in questione ha lavorato con Desmond Child e spostato James Christian: mi piacerebbe comunque chiederle che cosa pensa di questo brano…
C’è poco altro da aggiungere, se non che ogni singolo episodio è un autentico gioiello, che sarà bene scopriate con calma di persona. Io vi segnalo solamente l’irresistibile “Can’t stop the rock”, con un Mikael Erlandsson rilassato e infaticabile come sempre, “The infinity in us”, americana e tamarra quanto basta, impreziosita da un solo di un certo Vinny Burns. E poi abbiamo “Still in your heart”, superlativo e coinvolgente duetto tra Bob Harris e Sue Willets (a proposito, quando arriva il nuovo Dante Fox?). Non poteva mancare anche sua maestà Michael Bormann, che dispensa con noncuranza pelle d’oca e palpitazioni nella conclusiva “Alone”, parte centrale di una lunga suite in tre movimenti denominata “Under Silent Walls”. E’ l’episodio meno immediato del lavoro, ma l’incedere sognante e sofferente insieme ne fanno un altro tassello da non perdere.
A questo punto si potrebbe dire che 77 minuti per un disco AOR sono troppi. Peccato solo che scorra via che è un piacere e che si arrivi alla fine desiderando di ripartire daccapo. Ultimamente mi era successo solo con “The whirlwind” dei Transatlantic, per cui scusatemi se è poco.
Si potrebbe allora controbattere che ci sono troppi ospiti, troppi stili diversi e che tutto questo lo renda un lavoro troppo frammentato ed eterogeneo. In realtà il numero di persone coinvolte non fa che rendere più vivace e interessante l’ascolto, mentre gli arrangiamenti di Del Vecchio, unitamente all’ottimo missaggio ad opera di Michael Voss (che ha pure prestato la voce e la chitarra in un paio di brani) sono un efficace antidoto contro la dispersività stilistica di cui forse a tratti Zorro sembra macchiarsi.
Infine, l’accusa più probabile di tutte, quella della scontatezza. Ma chi ha detto che l’AOR deve essere innovativo? Quanti capolavori sono stati scritti utilizzando il solito giro di accordi?
Non so se “Shining Line” possa essere definito un capolavoro. I nomi coinvolti e l’evidente ambizione di cui è ammantato questo progetto, porterebbero abbastanza facilmente a propendere per tale ipotesi. Manca però un’adeguata prospettiva storica, e poi è un periodo confuso, per cui cedere ad affrettate conclusioni non è prudente.
Non posso però concludere dicendo che, per gli amanti del genere ma forse non solo, “Shining Line” è un acquisto obbligato. Compriamo e supportiamo questo disco perché Pierpaolo “Zorro” Monti merita eccome che si continui a parlare di lui ancora a lungo! Per quanto mi riguarda, spero di trovarmi qui tra un paio d’anni a scrivere una nuova recensione…