C’è qualcosa in questo disco degli
Ephemeris che mi ricorda la cospicua rappresentanza
neogotica nel prestigioso roster del Consorzio Produttori Indipendenti (bands come Estasia, Mira Spinosa, Divine, … tutte con una fascinosa voce femminile alla gestione microfonica) ma, forse, è anche la produzione di Cristiano Santini, che con i suoi Disciplinatha ha partecipato attivamente a quella singolare e brillante esperienza discografica, a contribuire a tale suggestione.
In comune, tra le due visioni sonore, rilevo comunque una plausibile passione per quel suono etereo e mistico, oscuro, pregno di leggiadra e fiabesca eleganza divenuto un po’ il marchio di fabbrica della 4AD, che qui, però, si spoglia di ogni aspirazione di tipo vagamente
elitario, si arricchisce di una moderata componente “fisica” e di un’urgenza comunicativa vitale e non eccessivamente leziosa che potrebbe contribuire non poco alle possibilità di ampia affermazione del gruppo veneto.
Insomma, in “Evoluzioni” assistiamo ad un interessante esempio di gothic-folk-pop-rock capace di soddisfare il lato malinconico e poetico dell’animo umano senza perdere in immediatezza, in un ambito dove si può sviluppare la creatività nonostante l’individuazione delle proprie fonti d’ispirazione non sia oltremodo proibitiva e l’appartenenza ad un certo immaginario musicale risulti piuttosto rigorosa.
La vocalist Sara Mazzer plasma la sua laringe tanto sui nobili gorgheggi di eminenze del calibro di Lisa Gerrard e Liz Frazer, quanto sui registri, sempre autorevoli, ma più “terreni”, di Cristina Scabbia, Anneke Van Giersbergen e Amy Lee, arrivando persino a intercettare le modalità vocali ed interpretative di una Tori Amos e di Carmen Consoli (ascoltate, per referenze immediate, la notevole “Burattini”, che rammenta vividamente la “cantantessa” catanese nelle sue manifestazioni iper-amplificate), se non addirittura, in forma più indistinta, quelli di una Grazia Di Michele (ricordandola prima che si riciclasse in veste di spocchiosa giudice di un noto “talent-show”) e di una Ana Torroja (dei Mecano, uno dei gruppi pop di maggior successo nella storia della musica spagnola, che magari ricorderete per l’hit “Hijo de la luna” / “Figlio della luna”) e anche se presumo che queste scelte d’intonazione (soprattutto le ultime!) potranno essere fonte di critica, rimango piacevolmente impressionato da come la cantante si muove con duttilità, discreto carisma e sofisticata risolutezza lungo composizioni sostanzialmente delicate, intimistiche e raffinate, e che tuttavia sanno anche palesarsi con maggiore forza d’urto, come accade, con notevole efficacia, negli scatti controllati di “Angelo” e nel graffio della già citata “Burattini”, nonché, in tono leggermente minore, nelle più canoniche “Your glance” e “Puff”.
Lo spessore emotivo e l’inventiva di “Creatures”, la nenia consolatoria e arcana denominata “Madreluna”, l’incantata armonia acustica di “Libera da me” e ancora la diafana sublimazione di “Filii et filiae”, sono altri momenti piuttosto significativi di uno scenario che, malgrado qualche ingenuità e una personalità ancora da “risolvere” compiutamente (circostanze legittime per una band agli inizi “ufficiali”), attrae e conquista in virtù di abilità specifiche, sensibilità, gusto estetico, capacità espressive e di una dote ormai abbastanza rara, specialmente in manifestazioni artistiche che, in qualche modo, si rivolgono al mainstream: l’assenza completa di
futilità.
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