L’Uomo di Vetro nasce d’inverno (quello del 2004, per la precisione), e ascoltando il loro “38° parallelo”, prima pubblicazione ufficiale patrocinata dall’attenta I Dischi del Minollo, la cosa non stupisce per nulla.
Il mutevole post-rock strumentale di questi ragazzi di Foligno evoca, infatti, desolati paesaggi invernali, con i caotici rumori della città appena percepibili in lontananza, dove il freddo pungente e il manto innevato rendono tutto ovattato e quasi
anestetizzato, un attimo prima che un tiepido ma vivido raggio di sole filtrante dai rami degli alberi ormai spogli e carichi di neve, crei effetti di luce iridescenti e, in qualche maniera, risvegli da questo torpore e risollevi l’animo dai propri pensieri più contemplativi e malinconici.
Un panorama che potrebbe geograficamente collocarsi sia nello spettacolare nord Europa, sia nello splendore estetico del Canada, ed ecco che i numi tutelari dei nostri appaiono fin dal primo ascolto Sigur Ros, Mogwai, gli specialisti di elettronica trasognata Boards of Canada e i signori dell’
epic-ambient Godspeed You! Black Emperor, ma nonostante la loro riconoscibile influenza, in questo caso si può tranquillamente parlare d’ispirazione e non di sterile trascrizione.
Certo, ancora una volta viene a mancare la componente esplicitamente
sperimentale dell’esposizione artistica, quella che ci si aspetterebbe da un nuovo rappresentante di un genere che dovrebbe,
ipso facto, andare oltre gli schemi e che invece è diventato esso stesso rigoroso e dogmatico nelle architetture e nelle logiche sonore.
Purtroppo, si tratta di una faccenda ormai quasi congenita e L'Uomo di Vetro non si sottrae a tale situazione, ma piace per la sua capacità di creare atmosfere rarefatte, per il tocco epico di alcune soluzioni, per le spirali al tempo stesso lievi, fragili, tese e intense, cui si aggiunge un potente senso di
dramma incombente che aleggia su composizioni non semplicistiche e nemmeno eccessivamente complesse.
Una sensibilità fortemente
cinematografica, poi, testimoniata anche dalla scelta di alcuni titoli dei brani, contribuisce a conquistare e intrigare quanto basta per allontanare prepotentemente quella sensazione, anche solamente accennata, di monotonia, rischio principale di una scelta espressiva di questo tipo.
In questo flusso ininterrotto di vibrazioni, stimolazioni sensoriali e flash d’immagini, nel quale le menzioni singole hanno scarso significato, desidero comunque segnalare la malia oscura di “Tecno-bells & funeral party”, un pezzo da incorniciare per come scava nel profondo e conduce a confrontarsi direttamente con l’angoscia e con la passione.
“38° parallelo” è un disco che non
sbalordisce e tuttavia infonde con generosità fascino, tensione emotiva ed empatia.
Per il momento, credo proprio ci si possa ampiamente
accontentare.
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