Non sarà Londra, Newcastle o Birmingham e sicuramente nemmeno Seattle, San Francisco o New York ma Piombino, nel suo piccolo, può tranquillamente essere identificata come una delle più prestigiose
roccaforti dell’heavy metal nostrano.
Dark Quarterer, Etrusgrave, Domine e oggi questi
Darking condividono, infatti, non solo le origini geografiche, ma una vibrante passione per le nobili vestigia del metallo potente ed eroico, sviluppato con spettacolare competenza e dedizione.
La presenza di Agostino Carpo, che dei Domine fu fondatore e importante agitatore ai loro esordi, rappresenta sia un piacevole ritorno (per un musicista di cui si erano perse le tracce!) e sia una garanzia di qualità, confermata dall’ascolto di “Sons of steel”, un pregevolissimo esempio di come cavalcate imperiose, evocazioni
guerriere e fasi sospese gravide di oscuri presagi, possono ancora accendere la fantasia e i sensi degli appassionati, inducendo, per esempio, un non più imberbe recensore ad esibirsi (in ambito privato, per carità!) in gesti inconsulti (pugni al cielo, tentativi di riproduzione vocale, …), decisamente poco consoni a quello che dovrebbe essere un
imperturbabile critico musicale.
Se amate Black Sabbath, Helstar, Iron Maiden e Manowar, credo proprio che sarete fieri di quello che sono stati capaci di produrre questi loro
figli provenienti dalla Val di Cornia, eredi tanto devoti da voler offrire una versione credibile ed efficace delle concezioni stilistiche dei
padri, scongiurando un eccesso di dipendenza dal loro familiare songbook.
Affermare, infatti, che i Darking non aggiungono nulla di
tangibilmente caratteristico a quanto già codificato dai loro modelli, può risultare fin troppo facile e superfluo, vista la rigorosa giurisdizione musicale, e tuttavia i nostri riescono comunque a suscitare grande interesse per una coesione sonora invidiabile, per un rilevante livello espressivo e per una vocazione spontanea e ispirata.
I brani? Beh, in vetta troneggia “Son of steel” un bruciante salmo dalle solenni progressioni vocali, seguita da “Lady of sand”, un’elaborazione abbastanza ambiziosa, che contempla un’intrigante vena melodica, senso drammatico d’effetto e spirito eroico, mentre al terzo posto del podio s’insedia l’immane nerbo del metal nero e fatale celebrato da “Sign of the cross”, un pezzo che in questi giorni di cordoglio per la dipartita dell’impareggiabile R.J. Dio, assume quasi un carattere commemorativo (in realtà è dedicato a Jacques de Molay, ultimo gran maestro dell'ordine dei Cavalieri Templari).
A breve distanza arrivano gli scatti incredibilmente coinvolgenti di “My name is no one”, il lirismo impetuoso di “The eye of God” e le granitiche e trascinanti “Promise of evil” e “Face of fear”.
Non ancora completamente degni dei momenti d’elevazione sonora assoluta garantiti dai colleghi e conterranei Dark Quarterer ed Etrusgrave, i Darking si candidano fin da ora come dei temibilissimi concorrenti di tutti quelli che considerano l’heavy metal “classico” un patrimonio da proteggere e riscoprire, con la forza del talento e dell’attitudine, quella che purtroppo non sempre è rintracciabile nelle molte
new sensations di un settore in prepotente ripresa.
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