Già qualche anno fa, qualcuno di “moderatamente” importante per la storia del rock affermò “
The song remains the same” e non credo proprio che nessuno si risentirà se, in maniera non molto originale peraltro, oggi decido di prendere a prestito tale testata per descrivere il contenuto di questo “Sons of rock”.
Mi auguro non s’indignino soprattutto i
No Remorse, dal momento che li immagino consapevoli del fatto di non apportare alcuna particolare “novità” alla causa e perché, nonostante questa certezza, quella che seguirà non sarà per nulla una pedante reprimenda riguardante la
solita mancanza di personalità.
Anche nell’ambito della
convenzione, infatti, ci sono delle importanti discriminanti che consentono di separare la
lana dalla
seta, partendo proprio da quell’
autenticità che è difficile da spiegare, ma che è, poi, abbastanza agevole da individuare alla prova dei fatti.
Ebbene, il quintetto toscano questa caratteristica così selettiva la possiede senza ambiguità, finendo per avvicinarsi sicuramente alla seconda delle categorie
tessili appena elencate, anche se, fuori di quella specifica metafora comparativa, la sua prestazione musicale ha ben poco a che fare con il più raffinato, morbido e
chic dei tessuti.
Potremmo pensare più ad una
iuta, a una
canapa o comunque ad una fibra piuttosto
grezza, intendendo il termine sia nella sua accezione di
naturale e sia in quella di
rustica materia sonora.
Insomma, i No Remorse sono una band dall’essenza parecchio
rough ‘n’ rawl, che attinge a piene mani dall’hard settantiano più mordace, dalla NWOBHM e dalle
panzerdivisionen metalliche, in un tripudio di riferimenti che partono dagli AC/DC e dai Rose Tattoo, passano attraverso Raven, primi Tygers of Pan Tang, Saxon e approdano ad Accept, Scorpions e Grave Digger.
Potente, diretto, cadenzato, rigoroso senza concedere luoghi comuni oltremodo banali, il disco non manifesterà incredibili guizzi d’
ingegno, ma, caspita, quanto coinvolge non perdendo mai in tensione e offrendo all’ascoltatore appassionato poco meno di un’ora di vibrante hard n’ heavy.
Lontano dall’aggressione monofunzionale e capace pure di momenti di “riflessione” illuminati da una vaga drammaticità dei temi, il sound dei nostri mantiene la sua tipica rugosità
in primis ad opera del singer Maurizio Muratori, il quale, grazie ad un apparato fonatorio miscelante Bon Scott, Udo e Kevin DuBrow, marchia a fuoco le canzoni del Cd e tuttavia rischia di appiattire il tutto con una prestazione che punta prevalentemente ad un approccio espressivo abrasivo e ruggente, mentre potrebbe, come accade, ad esempio nelle sapienti power-ballads “When the night comes” e “Why” (meglio la prima della seconda, per inciso) sfruttare in maniera maggiormente ampia la sua gamma timbrica.
Poco male, perché quando “spingono” e “martellano”, i No Remorse sanno decisamente il fatto loro, come succede nell’inno che dà il titolo all’album, nella
predatoria “No more murders in this world”, nell’assalto all’arma bianca “The sun is rising it’s time to die”, nel crescendo incombente “Watch me burn”, nelle veementi spirali auto-celebrative di “No remorse” e pure nelle soluzioni leggermente meno efficaci di “Escape”.
Rilevando, infine, la buona vena di “Start from the bottom” e “Here is not Hollywood, in cui il retaggio hard (n’ roll) della band affiora con urgenza, non posso far altro che consigliare “Sons of rock” a chi cerca emozioni concrete, sanguigne e “familiari”, prive di “trucchi” ed orpelli … Fini esteti e filosofi si possono tranquillamente astenere.