Questa formazione, che si è scelta l’impegnativo nome
Dante, è tedesca e la musica che propone risulta chiaramente di matrice progressiva.
Il loro imponente album “Saturnine”, un’ora di durata, è, infatti, un classico ibrido stilistico tra influenze rock più datate ( King Crimson, EL&P, Pink Floyd, ecc.) e la tendenza moderna dal taglio metal ( Dream Theater su tutti). I pezzi, assai lunghi ed articolati, vengono sempre strutturati sull’alternanza di passaggi romantici, emozionali, con robuste trame prog-metal. La principale forza dei Dante risiede nell’ottima padronanza strumentale, notevoli gli agili incroci tra chitarra e tastiere, ed anche in una buona sensibilità dell’esecuzione.
Però il gruppo scivola con troppa frequenza nel famigerato tranello della ridondanza superflua e nell’autocompiacimento prolisso. Troppi arabeschi e ripetizioni all’interno dei brani, che si sviluppano in maniera spezzettata perdendo il filo del discorso e dando la sensazione di un pizzico di confusione. I titoli più ambiziosi, come l’iniziale “All my life” e la suite “Vanessa” che sfiora i venti minuti, contengono certamente momenti ben realizzati e coinvolgenti, ma strutturati più come collage prog che come canzoni unitarie. Questa tendenza a dilungarsi ed a complicare le realizzazioni è comune a molti interpreti del genere, già intricato per propria caratteristica naturale. Nel caso dei tedeschi anche le parti vocali finiscono per risultare senza infamia e senza lode, visto che riprendono modelli classici ma senza riuscire ad incidere veramente.
In sostanza i Dante possiedono delle doti, ma sono ancora troppo ripiegati in sé stessi. Disco solo per completisti del genere.
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