Vi piace il prog-metal? Quello più “nobile”, capace di trarre ispirazione dalla tradizione romantica britannica e traslarla con classe e sufficiente temperamento attraverso gli anni, le nazioni, le contaminazioni e le “mode” fino ai giorni nostri? Apprezzate, insomma, chi è in grado di citare Genesis, Yes, Nice, ELP, Kansas, Marillion, Enchant, Spock's Beard, Shadow Gallery e Dream Theater, senza affidarsi ad un’anagrammatica versione del loro song-book?
Se la risposta è negativa, direi che potete tranquillamente abbandonare la lettura e rivolgervi a qualche altra recensione, tra la ricca offerta presente quotidianamente sulle pagine “virtuali” di Metal.it.
Per quelli che sono rimasti e con i quali mi congratulo per i gusti musicali, questa sorta di “diagramma di flusso” prevede un’ulteriore”condizione”, questa volta non
assolutamente discriminatoria, ma comunque di notevole significato per apprezzare fino in fondo questo self-titled Cd offerto dai
Seven Horizons, band all’esordio ufficiale seppur in forma “autoprodotta”.
Oltre ad essere illuminati
prog-maniacs, dovrete, infatti, non disdegnare o essere contrari all’uso della musica come veicolo per il messaggio “apostolico”, alla professione della propria fede (anche) attraverso le note, al ricorso a quel
rock cristiano che spesso (molto di più della sua controparte!) è stato oggetto di critiche e superficiale ironia.
I testi dei nostri sono pregni di fervore mistico e devozione religiosa e anche se fortunatamente vengono evitati con intelligenza gli aspetti più
kitsch di questa cognizione (lambiti solo, forse, nella conclusiva “Ancient of days”, rilettura di un noto canto gospel di Ron Kenoly, eseguito, in configurazione di
ghost-track, pure in lingua italiana), appare abbastanza evidente che la loro vibrante vocazione potrebbe rappresentare un ostacolo per chi rifiuta
categoricamente questo tipo di approccio espressivo.
Terminate le
avvertenze, possiamo tranquillamente dedicarci al contenuto artistico del disco, quasi settanta minuti di piacevolissimo ed armonioso rock progressivo
metallizzato, solido dal punto di vista esecutivo e pregevole in sede compositiva, in cui emergono, come anticipato, le molte influenze del gruppo e in cui tuttavia si riesce quasi sempre ad individuare una scintilla indelebile di personalità propria.
Momenti maggiormente pacati ed enfatici si alternano a situazioni più irruente, offrendo all’ascoltatore tutte le qualità melodiche e la polivalenza di una band sicuramente supportata da una notevole padronanza tecnica e che credo abbia la sua arma migliore in una profonda cultura musicale, evitando, così, il rischio di un epidermico approccio ad una materia (come molte altre, nondimeno) in piena saturazione.
E’ chiaro che per una proposta di questo genere, ricca di cambi di tempo e d’atmosfera e di arrangiamenti sofisticati ed articolati, la produzione e la resa sonora sono aspetti certamente molto importanti, ed ecco che ritrovarseli poco decisi e ovattati, come accade in questo “Seven horizons”, rappresenta un limite piuttosto
tarpante nell’economia generale di un Cd che riesce comunque a brillare in parecchie delle composizioni, nella voce piena e intensa di Celso De Freyn, nelle tastiere evocative e scenografiche di Riccardo Oneto e nelle chitarre volubili di Gianluca Russo, mentre appare oltremodo sfavorito nella componente ritmica e non per demeriti specifici dei suoi gestori.
La grinta
elaborata di “The system is dead”, la sfarzosità
seventies di “Into the sunshine” e “War for the earth”, le vette toccate dalle superbe evoluzioni emozionali di “Judgment theory” e dal lirismo d’effetto di “The miracle”, le copiose vibrazioni garantite da “Goliath's head” (vagamente
leziosa, come la sua propaggine “Pathway to the throne”) e un episodio auto-celebrativo strumentale dagli esiti ampiamente positivi, pongono all’attenzione dell’universo discografico “maggiore” le doti innegabili di un gruppo preparato e ispirato che aspetta solo di essere sostenuto in maniera “professionale” (sperando solo che il patrocinio delle “teorie celesti” non finisca per essere penalizzante!) per esprimersi al meglio delle sue molteplici possibilità.