Secondo album per i norvegesi
Goat the Head, approdati alla sempre ottima
Aftermath Music, di solito dedita a sonorità allo stesso tempo più estreme e dark, come i The Fall of Every Season.
Ci troviamo stavolta di fronte ad un death metal piuttosto spiccio e diretto, che non tenta di introdurre alcunchè ma che punta unicamente sull'impatto e sulla bontà del songwriting; in effetti il death dei nostri risulta piuttosto "primordiale", quasi un thrash più rozzo e volgare, in linea con i testi che disquisiscono di antropologia, evoluzione e cavernicoli, tanto da far guadagnare ai Goat the Head l'appellativo di "
Cave-Metal band".
L'ottima produzione a cura di
Tue Madsen degli
Illdisposed ottenuta negli Antfarm Studios costituisce una buona ossatura ed un aiuto non indifferente per la linearità e l'asciuttezza di "
Doppelgängers", basato su riffs che più classici non si può, su mid-tempos venati di qualche accelerata e sulla voce di
Per Spjøtvold che sembra più un
Lemmy con la super raucedine piuttosto che un vero cantante death con dei growls degni di questo nome.
Qualche sorpresa arriva qua e là, come l'inserimento della voce femminile (non smielata ovviamente) su "
This Tube is the Gospel", ma in generale benchè non si possano bollare come mediocri, questi
Goat the Head non rappresentano un granchè nel panorama estremo mondiale: brani apprezzabili ma più che ordinari, una longevità destinata a non procrastinarsi a lungo nel tempo e nessun lampo di genio, o di estrema freschezza, ad illuminare il tutto.
Insomma, senza infamia e senza lode: un gruppo come tanti nel sempre più affollato calderone metallaro del 2010.
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