Quando ci si trova a dover commentare un disco come questo, i temi
filosofici fondamentali da affrontare sono in pratica sempre gli stessi. Da un lato l’incredibile attrazione che i nomi coinvolti sviluppano inevitabilmente su una buona parte dei
metalofili abitanti il globo terracqueo, e dall’altro i dubbi sulla “sincerità” artistica dei protagonisti, sul grado di coinvolgimento che tali celebrità avranno mai potuto avere al di fuori del
normale interesse per una sorta di “marchetta” presumibilmente ben retribuita.
Jorn Lande e
Russell Allen, però, sono alla terza prova discografica
collegiale, i fans del progetto avranno sicuramente già superato la fase di un eventuale dibattimento
etico e attenderanno con ansia il nuovo capitolo di un
gruppo sinceramente in grado di seppellire con tonnellate di tecnica ed espressività vocale, un songwriting non esattamente travolgente sotto il profilo della spinta creativa.
Ed arriviamo, dunque, all’altro tassello fondamentale (e non me ne voglia Jaime Salazar, un esperto musicista competente e prezioso, ma decisamente meno
determinante) della band, quel Magnus Karlsson dalla solidissima carriera compositiva ed esecutiva, che conosce perfettamente l’arte della “bella calligrafia” in campo hard rock, ma che forse ha maturato uno stile fin troppo riconoscibile e rigoroso per non incorrere in accuse di staticità o di mancata evoluzione.
Se si tratti di una scelta di “convenienza” (perché cambiare se funziona?) o di un limite effettivo, non è dato da sapere e non è nemmeno così importante dal momento che “The showdown” è ancora una volta un lavoro certamente assai godibile, a dispetto della sua evidente prevedibilità.
Una voce strepitosa, per intensità, feeling, determinazione, estensione, misura e colore, può, dunque, rendere
enorme una
buona canzone?
Probabilmente una da sola non basterebbe, ma quando sono due e possono contare sulle doti esibite da quelle di Jorn e Russell, beh, temo che anche i più accesi detrattori di Karlsson dovranno riconoscere la qualità di un risultato finale complessivo che offre obiettivamente livelli di apprezzamento assai elevati.
Rainbow, Whitesnake, Royal Hunt, oltre ovviamente a Masterplan e Symphony X, pomp/AOR, vividi bagliori sonici di matrice
power e
symphonic, armonizzazioni enfatiche e drammatiche (che si giovano spesso delle prerogative del pianoforte) e leggere pennellate neoclassiche rappresentano le risorse ispirative e la materia “prima” su cui le sublimi laringi dei titolari dell’opera possono continuare a
confrontarsi, scambiandosi e integrandosi continuamente nel ruolo di mattatore e di nobile comprimario all’interno di un copione scritto con dovizia ed efficacia pur nella sua pressoché totale mancanza di “colpi di scena”.
La title-track, il singolo “Judgement day”, “Bloodlines”, le toccanti “Copernicus” e “Eternity “ e poi ancora la virile melodia
adulta di “The guardian”, la
grandeur di “The artist”, senza dimenticare la conclusiva "Alias”, una favolosa
bonus track che fa davvero onore al suo incarico d’incentivo supplementare, sono solo alcune delle situazioni da citare scorrendo un programma privo di autentiche flessioni,
scientificamente concepito per piacere e per il quale è facile prevedere una conquista istantanea del suo obiettivo primario.
“The showdown” è in definitiva un ottimo lavoro, e anche se si percepisce appena un po’ l’odore
acre del “laboratorio” in cui è stato realizzato, possiamo tranquillamente paragonarlo ad un magnifico volo nella stratosfera dell’hard n’ heavy … magari con il “pilota automatico” inserito in una giornata totalmente tersa …