"A causa di alcuni problemi personali, ma soprattutto a causa della mancanza di interesse dei promoter verso i Revolution Renaissance, e a causa dello stato attuale dell'industria musicale, che riduce sempre più i budget di produzione, è diventato impossibile continuare con questa band.
Abbiamo provato varie volte a proporre i nostri concerti, nei tre anni di attività, ma non siamo mai riusciti a concretizzare niente.
Una band rock non può esistere senza il contatto diretto con i fan, e quindi l'unica scelta che posso prendere, è quella di porre fine alla band e alle sue attività.
Il terzo e ultimo album uscirà alla fine di Settembre.
Dal profondo del mio cuore, vorrei ringraziare tutti i fan della mia musica, che mi hanno sostenuto per tutti questi anni: è stato un viaggio fantastico."
È con queste parole di
Timo Tolkki che vi do il benvenuto sul terzo, ultimo, postumo album dei
Revolution Renaissance. Tre dischi in tre anni, eppure Timo sembra non aver mai trovato la formula vincente, per attirare su di sé le attenzioni del music business. E, mi dispiace doverlo dire, questo ultimo “
Trinity” è decisamente il punto più basso della breve discografia dei RR: penalizzato da una produzione un po’ troppo “raw”, il disco soffre una preoccupante carenza compositiva, a cui fa, da contraltare un’interpretazione da dimenticare di
Gus Monsanto, un cantante che dovrebbe magari sforzarsi di essere in nota, quando incide. I riffoni tanto cari agli Strato-Fans non mancano, ma il tutto sembra un po’ troppo fine a se stesso, senza mai un guizzo, senza mai poter dire “dai, almeno sto brano tira su la situazione”. E sì che di gente che sa suonare in questo album non ne manca: da
Bob Katsionis, funambolico tastierista-chitarrista appena reclutato dai
Firewind, a
Bruno Agra (ex
Angra), a Timo stesso, che, checché se ne dica, non si può di certo considerare “un novellino”.
Eppure, “
Trinity” si lascia terminare a fatica, a causa di canzoni scialbe, banali, che sembrano montate e messe in piedi in 5 minuti; ascoltare per credere
"A Lot like Me", "
Falling to Rise", che sembrano scimmiottare gli
Stratovarius, con risultati imbarazzanti... Carina "
The World doesn't get to me", quasi uno sfogo di Timo verso un mondo che, poverino, non lo capisce e non lo apprezza; lanciata a mille allora "
Crossing the Rubicon", ma sembra un brano che chiunque di voi potrebbe mettere in piedi in 5 minuti, e così via fino alla lunga suite "
Trinity", un'accozzaglia sonora senza nè capo né coda, in cui il power metal di partenza viene stuprato e smembrato da idee confuse e strofe sentite già mille volte.
Mi dispiace davvero tanto per Timo Tolkki, ma, come si dice in questi casi, “
chi è causa del suo mal, pianga se stesso”.