Eyehategod - In The Name Of Suffering

Copertina SV

Info

Anno di uscita:1992
Durata:35 min.
Etichetta:Intellectual Convulsion

Tracklist

  1. DEPRESS
  2. MAN IS TOO IGNORANT TO EXIST
  3. SHINOBI
  4. PIGS
  5. RUN IT INTO THE GROUND
  6. GODSONG
  7. CHILDREN OF GOD
  8. LEFT TO STARVE
  9. HOSTILITY DOSE
  10. HIT A GIRL

Line up

  • Steve Dale: bass
  • Joe LaCaze: drums
  • Jimmy Bower: guitars
  • Marc Schultz: guitars
  • Mike Williams: vocals

Voto medio utenti

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Tra le formazioni piú di spicco e fondamentali per capire lo sludge metal che ha trovato la propria culla ideali tra le paludi della Lousiana e tra le strade di New Orleans, gli Eyehategod muovono i primissimi passi nel sottobosco musicale giá nel 1988 grazie alla volontá del chitarrista Jimmy Bower e del batterista Joey LaCaze, a cui nel giro di poco tempo si aggiungeranno Steve Dale, Mark Schultz e Mike Williams che formeranno lo zoccolo duro della band per moltissimi anni. Inizialmente la band viene messa insieme senza troppe velleitá e quasi per scherzo, ed espressamente con l'intento di differenziarsi dall'underground musicale dell'epoca. Tuttavia, dopo un paio di demo autoprodotti ed autoregistrati usciti negli anni successivi alla fondazione ("Garden Dwarf Woman Driver"del 1989 e "Lack of Almost Everything" del 1990), la band comincia a fare sul serio e sempre nel 1990 da alla luce il suo primo disco ufficiale "In The Name of Suffering" dopo aver firmato con l'etichetta francese Intellectual Convulsion: il disco colpisce fin da subito per la sua miscela incredibile di crust, punk, blues e doom metal, resa ancor piú spigolosa ed estrema dall'alone low-fi che caratterizza le registrazioni; d'altronde la band non disponeva di grandi mezzi economici per le registrazioni ed infatti "In The Name of Suffering" venne registrato in maniera indipendente per una cifra intorno ai 1000 $. Anche se forse ancora un po' acerbo da un punto di vista compositivo, il disco mostra giá tutti i tratti distintivi della musica degli Eyehategod: la base di partenza sono i riff bluesy delle chitarre di Bower e Schultz sporcati da un'attitudine prettamente crust/punk ed incattiviti dalla lentezza tipica del doom. Immaginate di ascoltare GG Allin che suona i Saint Vitus che si divertono a coverizzare i Black Sabbath e forse potrete farvi un vaga idea di come sia il sound degli Eyehategod. Il sound di "In The Name of Suffering" é estenuante nella sua componente gretta e ruvida che esalta le origini punk della band, e viene reso ancor piú estremo dai feedback lancinanti delle chitarre che a tratti sembrano quasi gridare di dolore, mentre la voce di Mike Williams é un cazzotto in faccia con il suo tono sgraziato e disperato, a tratti tutt'altro che umano: ma la lentezza dei brani subisce anche decise sterzate, con d-beat e up-tempo dall'incedere punk hardcore che spezzano la reiterata monoliticitá delle canzoni. Durante l'ascolto di "In The Name of Suffering" si é perennemente accompagnati da una sensazione di disagio e di fastidio esistenziale, acuito anche dai testi di Williams che trattano argomenti come violenza, depressione, dipendenza, povertá ed abusi in generale. Alla sua uscita il disco riceve un ottimo riscontro a livello di pubblico, trascinato da canzoni come "Shinobi", "Depress", "Man Is Too Ignorant To Exist" o "Pigs" che sono tutt'oggi dei classici degli Eyehategod, permettendo alla band di promuoversi live suonando con artisti del calibro di White Zombie, Crowbar, Corrosion Of Conformity e tanti altri. Purtroppo la Intellectual Convulsion chiuderá i battenti poco dopo a causa di problemi economici ma gli Eyehategod troveranno ben presto casa presso la ben piú famosa e prospera Century Media che si occuperá anche di ristampare "In The Name of Suffering" nel 1992, aggiungendo come bonus tracks anche il demo "Lack of Almost Everything".
Come detto, il debut album degli Eyehategod forse non é la loro opera piú matura e perfetta (personalmente gli preferisco il successivo "Take As Needed For Pain") ma rimane un disco imprescindibile per comprendere la nascita e lo sviluppo dello sludge in tutte le sue declinazioni: d'altronde il disco ha il grandissimo pregio e merito di suonare unico e personale ancora oggi, e mostra come tutte le band che hanno reso celebre il NOLA sound, pur avendo delle radici e dei punti di contatto in comune, lo abbiano poi declinato nella loro personalissima e specifica maniera.

Recensione a cura di Michele ’Coroner’ Segata

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