Non è un mistero che il sottoscritto abbia un rapporto di amore/odio con i
Cradle of Filth, con una stima sbocciata tanti anni fa dai tempi del debutto "
The Principle of Evil Made Flesh" successivamente sostituita nel proseguio della loro carriera da una repulsione per tanta maestria stupidamente sciupata a causa di un atteggiamento sempre più buffonesco e basato sul look che ha partorito due autentici aborti a nome di "
Thornography" e "
Nymphetamine", il punto più basso mai raggiunto e probabilmente raggiungibile dal combo inglese.
L'ottimamente ed universalmente acclamato "
Godspeed On The Devil's Thunder" non ha invece colpito le simpatie dell'insoddisfacibile Graz, sebbene fosse innegabile un miglioramento nel songwriting, più asciutto e diretto sulla musica rispetto al passato; le dichiarazioni del nano Filth riguardo questo nuovo "
Darkly, Darkly, Venus Aversa" descritto come "senza dubbio il disco più veloce e brutale mai scritto" mi avevano lasciato ben sperare, visto anche il passaggio ad un'etichetta come la
Peaceville, che indubbiamente più si adatta al loro sound rispetto alla mainstream
Roadrunner.
Alla luce di ciò, l'ascolto del decimo album dei Cradle of Filth mi ha inizialmente lasciato un po' con l'amaro in bocca, perchè mi aspettavo qualcosa di veramente grandioso; così non è ma solo poichè le mie speranze erano esagerate, sproporzionate rispetto al valore attuale della band e della scena in generale.
Tanto per capirci, come succedeva in passato quando ogni album dei COF era paragonato e messo in competizione con la rispettiva release dei
Dimmu Borgir, "
Darkly, Darkly, Venus Aversa" straccia per valore "
Abrahadabra" e lo dico con la morte nel cuore poichè in questo simpatico giochino ho sempre parteggiato e preferito i norvegesi condotti da
Shagrath.
Paul Allender, unico fondatore rimasto insieme allo stesso Dani, svolge un ruolo fondamentale in questa rinascita dei Cradle of Filth poichè il lavoro chitarristico alle spalle di DDVA è la base del suo successo; una fucina continua di riffs efficaci, potenti, maligni e coinvolgenti allo stesso tempo ed anche il ritorno di
James McIlroy all'altra ascia è un'altra notizia da accogliere col sorriso sulle labbra, dato l'ottimo lavoro svolto.
La componente "barocca" delle composizioni dei Cradle of Filth è per fortuna contenuta e si limita ad adornare dei brani che già funzionano da sè, senza diventarne inutile ragion d'essere: nessuna sinfonia fuori luogo, nessuna pacchiana teatralità, zero concessioni all'apparenza senza sostanza.
Anche le tastiere della bella
Ashley Jurgemeyer supportano al meglio senza invadere e "
The Persecution Song" è un perfetto esempio della nuova sobrietà del combo britannico, sobrietà ed efficacia che hanno saputo riportare i Cradle of Filth nel posto che meritano di occupare ed a cui hanno stupidamente rinunciato per troppi anni.
Nota: purtroppo non possiamo commentare in nessun modo la produzione del disco poichè la promozione dello stesso è stata affidata ad un link in streaming impossibile da decodificare in termini di resa e qualità sonora.