Come avevo anticipato in coda alla recensione di “Hazy dreams”, tributo a Jimmy Hendrix, gli stessi curatori di quell’operazione, Fabrizio Grossi e Pat Scalabrino, propongono un secondo episodio che vede come soggetto un altro totem della musica rock: i Led Zeppelin.
Lo sviluppo del tributo rispecchia quello del precedente, attivare musicisti di estrazione ed area differente, anche molto lontana dal mondo hard/heavy, allo scopo di ottenere una rilettura degli immortali classici di Plant e soci in ottica moderna, sfruttando in modo massiccio gli stili contemporanei.
Un’idea interessante, che evita intelligentemente di scivolare nella stucchevole antologia di cover identiche agli originali, consuetudine che ritengo una delle cose più inutili del mercato musicale.
In questo album troviamo invece degli esperimenti perlomeno coraggiosi, alcuni brillanti altri che lasciano magari perplessi per la loro accentuata particolarità, certamente coinvolgenti ed innovativi quindi meritevoli di una curiosità che ne giustifichi l’acquisto, in un periodo di grande inflazionamento generale.
Il contributo di personaggi dal notevole spessore quali Robert Truijllo, Jeff Pilson, Ice T, Sean Dog, Gregg Bissonette, garantisce momenti interessanti come le versioni pesantemente nu-metallizzate di “Whole lotta love” o “Black dog”, al pari di una tagliente ed irriconoscibile “Communication breakdown” o della immortale “Stairway to heaven” qui cantata con estrema dolcezza tutta femminile dalla brava Gisa Vatcky. Più spiazzanti, ma in un certo senso anche più provocatorie, le incursioni nel rap-metal che stravolgono alla radice la tradizione consolidata di “Heartbreaker” e “Kashmir”, a testimonianza di un progetto che riesce a staccarsi dalla banalità con una buona dose di freschezza mentale.
Non fate l’errore di dare troppa importanza al voto finale, quello è un vezzo legato alla mia idiosincrasia per l’attuale moda dei tributi, compilation, greatest hits, che comprendo davvero a fatica. Se avete letto con un minimo d’attenzione il commento sarà chiaro che il disco possiede una marcia in più rispetto alla media dei lavori analoghi. Come già è stato per Hendrix, se vi piacciono i Led Zeppelin l’interpretazione che ne danno Grossi, Scalabrino ed amici è senz’altro degna d’attenzione.
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