“All in”, ossia, nel gergo del poker, giocarsi tutto, ma sinceramente se fossi in
Mark Sweeney ci penserei bene prima di espormi ad una puntata tanto
azzardata con un disco come questo.
Troppo facile andare a scoprire il
bluff del pur discreto (ex) singer dei Crystal Ball al suo secondo lavoro solista (esordio in questo senso con “Slow food” del 2007), troppo esile e “scoperto” il suo tentativo di accaparrare in un colpo solo i fans del rock melodico e del pop (aggiungendo pure, a volte, un pizzico di gusto vagamente “alternativo” e modernizzato, che non guasta mai), senza avere, probabilmente, le doti compositive e vocazionali necessarie per affrontare e vincere una
partita così animata e onerosa.
Qualche buona
carta, il singer svizzero in mano ce l’ha, a partire dalla sua laringe accordata e moderatamente espressiva, per continuare con gli
special guests dell’albo, Bruce Kulick (autore del guitar solo in "Too late"), Stefan Kaufmann (ex-Accept / U.D.O) e il
prezzemolino Jörg Michael (entrambi impegnati nella scattante bonus track “Demons”), senza dimenticare la sempre brava Robin Beck (sua partner nella
ballatona “Moments”) e terminando con la valente produzione dell’esperto Michael Voss.
La sua è in ogni caso la più classica delle
weak hand, soprattutto se pensiamo alla concorrenza e, più in generale, agli standard medio-alti garantiti dall’attuale discografia del
melodic rock, che hanno abituato il pubblico di settore a ben altra qualità di quella riscontrabile nelle
canzoncine non sgradevoli e tuttavia incredibilmente evanescenti contenute nel Cd.
L’unica vera sorpresa veramente gradita è la voce della seconda, decisamente meno nota, ospite femminile di
Herr Sweeney, dal nome Pearl e artefice di una prestazione avvincente nella bella "Leave it all behind”, ma benché io non sia un grande
gambler, ritengo abbastanza complicato riuscire a sconfiggere avversari così preparati con una sola
regina dalla propria parte.
Le tracce lasciate dall’ascolto di “All in” sono davvero esigue, qualche melodia piacevole (con segnalazione dovuta per l’anthemica e brumosa “Chance”), alcune suggestioni alla Bryan Adams / Bon Jovi (a tratti è rilevabile altresì qualcosa dell’Alice Cooper più
commerciale), taluni sfumati bagliori di The Rasmus / Renegade Five / Prime STH e poco altro, a rappresentazione di un
punto francamente troppo debole per conquistare il “piatto” di un’affermazione convincente e memorabile.
Spiacente Mark, questo torneo forse era meglio evitarlo e continuare a giocare al tavolo dell’hard n’ heavy melodico (e power-
oso) di matrice mitteleuropea, dove, con i Crystal Ball (anche se le ultime notizie danno il nostro fuori dalla band e impegnato in un nuovo progetto denominato Wolfpakk!), hai dato dimostrazione di poter quantomeno aspirare ad un’onesta
spartizione della posta in palio.
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