I
Bad Habit fanno parte di quel (corposo) elenco di formazioni per le quali mi sarei aspettato, nella mia
ingenuità di grande
aficionado melodico, un’affermazione ampia e pressoché incondizionata, mentre l’iniquità degli eventi e le indecifrabili regole del rock business, come sappiamo, li hanno poi relegati ad un ruolo di nobili
outsider del settore, di cui ci si ricorda raramente quando si citano i nomi più rappresentativi del genere.
Sarà bene rivedere quanto prima queste graduatorie, perché dopo l’eccellente “Above and beyond” i nostri replicano infondendo un’analoga forza espressiva anche a questo nuovo “Atmosphere”, giunto negli scaffali dei negozi di dischi (lo so … sono
anziano …) quando ancora la pubblicazione della raccolta “Timeless” si poteva considerare abbastanza “fresca”.
Fortunatamente i discutibili inediti presenti in quella compilazione non si sono rivelati particolarmente emblematici, l’album è semplicemente avvincente e fa parte di quei prodotti capaci di mettere in seria difficoltà appassionati e recensori intenzionati a evidenziare i brani maggiormente significativi del programma che li costituiscono.
Il livello medio delle canzoni è davvero di primissima scelta ed esplicita perfettamente l’essenza di una band capace di raccogliere la più pura eredità “radiofonica” degli anni ’80, assimilarla senza incorrere in effetti collaterali di parossistica dipendenza, e grazie ad una tangibile ispirazione, fornirne una versione se non esattamente “propria” di sicuro ben distante dalla fastidiosa emulazione.
Come anticipato è davvero arduo effettuare delle selezioni utili, ma se il vostro cuoricino di
chic-rockers non è sottoposto ad una serie di salutari sussulti durante l’ascolto di “In the heat of the night”, con la sua melodia ariosa, le chitarre ad indurire la golosa glassa delle tastiere e una voce, quella del sempre impeccabile Bax Fehling, in grado di raggiungere la stratosfera del pentagramma e dell’emozione, credo proprio che l’adozione di uno di quei tanto pubblicizzati spray per la pulizia dei condotti uditivi potrebbe essere un buon rimedio per un sistema evidentemente un po’ intasato.
Da qui in avanti si potrebbe veramente lasciarsi andare a sperticati elogi per la sublime vocazione adulta manifestata in maniera incontestabile o anche apprezzare il modo in cui un vago sentore “modern-pop” (con reminiscenze alla The Rasmus, per intenderci, come accade in “I’ll die for you” o, in misura appena accennata, nella mirabile “Without you”) oppure soluzioni leggermente meno rigorose (certi
brumosi bagliori chitarristici nel clima Bon Jovi-
esque della favolosa "Break the silence”) sanno integrarsi a meraviglia in un contesto vitale, raffinato, equilibrato e omogeneo, e tuttavia ritengo che il tutto si risolverebbe alla fine in un esercizio di “grafomania” (a cui spesso mi concedo con somma
soddisfazione, a dire la verità, ma in questo caso sarebbe veramente un eccesso di
egocentrismo …) troppo poco efficace ai fini divulgativi, dato che, lo ripeto, il Cd non evidenzia reali flessioni.
I Bad Habit si confermano come degli autentici protagonisti del rock melodico odierno, e anche se purtroppo, presumibilmente i riflettori del successo (visti i tempi attuali) non arriveranno mai ad “abbagliarli” come meriterebbero, mi auguro vogliate accordare loro tutta la considerazione che è dovuta ai migliori interpreti di un suono oggettivamente incrollabile, a dispetto di tante morbose rincorse verso l’ultimo trend del momento.