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Info

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Anno di uscita:1986
Durata:36 min.
Etichetta:Dimension / Metal Blade Records

Tracklist

  1. DIGGIN' THAT GRAVE
  2. GOD TOLD ME TO
  3. LOVE THEME FROM "JESTERS ON PARADE”
  4. I HATE BRUCE
  5. END OF TIME
  6. ATTACK OF THE JESTERS
  7. INCUBUS
  8. HAPPY TIMES
  9. CRIMSON UMBRELLA
  10. LOVE DUST
  11. RAY'S THEME

Line up

  • Bruce Duff: bass, vocals
  • Ray Violet: guitar, keyboards
  • Eric Carlson: guitar
  • Dave Kuzma: drums

Voto medio utenti

La Rete è, a volte, veramente sorprendente, e nonostante le accuse (anche legittime) che talvolta è “costretta” a subire, essa rappresenta uno strumento davvero potente e molto “produttivo”, anche se chi appartiene alla mia generazione, nonostante la “buona volontà”, non sempre se ne ricorda o è portato ad ammetterlo apertamente.
Chi mai si sarebbe immaginato che un gruppo apparentemente “oscuro” e particolare come quello dei Jesters of Destiny, autori del disco di cui andremo tra breve a dissertare, inattivo da anni, avesse un suo myspace, video caricati su youtube e potesse contare su un discreto numero d’estimatori? Io sicuramente no, e non posso che congratularmi con tutti i suddetti per il loro gusto e la loro “fame” di “storia” musicale, senza fermarsi all’ovvio o al già celebrato, andando a scoprire entità artistiche “piccole” per la fama che conquistarono a causa della loro bizzarra personalità, ma assolutamente meritevoli di menzione proprio per la capacità che possedevano nell’essere più “avanti” di tanti loro contemporanei.
Meglio così … sarà più facile per i lettori di metal.it che vorranno concedermi un minimo di credito, reperire i dati necessari ad un eventuale approfondimento specifico, ricordando, inoltre, che in ogni caso esiste pure una ristampa su Cd del disco in questione edito dalla label finnica Ektro Records, comprendente, oltre al programma originale, anche alcuni interessanti inediti che avrebbero dovuto far parte del mai pubblicato terzo (all’attivo i nostri hanno anche un mini di cover intitolato “In a Nostalgic Mood”) platter “No Laughing Matter”.
OK, ma perché parlare proprio di questo disco? In parte la motivazione è intuibile dalle righe precedenti e poi perché ai tempi della sua pubblicazione provai una fortissima emozione, quella straordinaria eccitazione che si avverte nei confronti di una “grande scoperta”, di un’autentica “novità” magari osteggiata per la sua singolarità, sensazioni immutabili nei cuori di tanti dei musicofili all’ascolto e in questo caso amplificate da un’epoca in cui le informazioni riguardanti un certo tipo di musica erano poche, frammentarie (oggi semmai abbiamo spesso il problema contrario) e in cui i settarismi erano sicuramente più radicati.
Tentare di ricreare con le parole quella sensazione è impresa ardua, soprattutto oggi, dove tutto è “a portata d’orecchio”, ma anche se non ci riuscirò, incensando in maniera adeguata “Fun At The Funeral”, il debutto dei favolosi ed enigmatici Jesters of Destiny, avrò comunque segnalato una circostanza degna di riesumazione.
Immaginate, dunque, la situazione … anno 1986, in un panorama musicale dominato da Iron Maiden, Metallica, Motorhead, Anthrax, Bon Jovi e Ozzy, in cui “Rage For Order” e “Turbo” venivano accolti con più di un “sospetto” (e per il disco dei Judas Priest, la cosa era abbastanza giustificata!) per la loro atipicità, tramite una delle etichette “metallare” per antonomasia, esce un album “strano” fin dalla copertina: un disegno vagamente naif, ottenuto con una tecnica “graffiata” e un soggetto adeguato al titolo, in cui un giullare inginocchiato sogghigna con falsa ritrosia al cospetto di quello che è chiaramente un servizio funebre, laddove i visi degli altri accoliti tradiscono invece, più normalmente, tutta la mestizia di un evento tragico, amplificato dalla caduta della pioggia.
Pochissime le informazioni supplementari disponibili; la lista delle tracce e poco altro e nemmeno la copertina interna, desolatamente immacolata, è di molto aiuto.
Il contenuto è incredibile: l’approccio dissacrante e satirico, il simpaticamente “lugubre” senso dell’umorismo, l’alternarsi continuo tra commedia e dramma, si esprime attraverso un suono cangiante e avvincente, in un frullato di funky, dark, punk, new-wave, doom, hard e psichedelia che compone un puzzle stralunato ed estremamente creativo, degno di essere catalogato come uno dei primi esempi d’autentico alternative metal.
Vi lascio immaginare la reazione della critica musicale che decise di occuparsene, spiazzata di fronte a qualcosa d’anarchico e anche un po’ incomprensibile.
Per il sottoscritto, da sempre attratto da questo genere di “sfide” (nonostante le svariate “cantonate”) una situazione simile equivaleva all’effetto di un potente elettromagnete su una superficie metallica e bastò poco per rendersi conto che la creatura di Bruce Duff (noto per essere il manager dei Malice!) e Ray Violet (aiutati, nelle varie incarnazioni della band, da nomi abbastanza sconosciuti quali Bill Irwin, Louie Schilling, Stu Simone, Michael Montano e Dave Kuzma, e personaggi maggiormente “famosi” come Eric Carlson a.k.a. Sickie Wifebeater dei laidi The Mentors!) era una sorta di straordinaria “macchina del tempo” musicale, capace di viaggiare nel passato a recuperare la migliore tradizione del rock (lo testimoniano anche gli artisti poi omaggiati ne “In a Nostalgic Mood”: Black Sabbath, Hendrix, Creedence Clearwater Revival e Little Richard, assieme ad una meno fondamentale Elastik Band), contaminarla con le suggestioni più stimolanti del loro presente ed ottenere così un ibrido ancora oggi così attuale da sospettare addirittura una capatina nel futuro, a sbirciare quello che poi sarebbe successo.
Ascoltate “Diggin’ That Grave”, “God Told Me To” (con tanto di finalino rubato a “Eleonor Rigby!), “I Hate Bruce”, “End of Time” (apparsa anche su “Metal Massacre V”), “Incubus”, “Happy Times”, “Crimson Umbrella” e “Love Dust” (non troppo lontana dalla sensibilità sonora dei Jane’s Addiction!), con le loro volubili e irresistibili strutture armoniche, e poi ditemi se ‘sta roba non è ancora appassionante, estrosa e fresca, con un pizzico di quel vintage flavour che piace tanto al mercato discografico attuale …
A quanto risulta, Bruce e Ray dovrebbero essere ancora nel mondo della musica, come produttori e turnisti … chissà che un giorno o l’altro il Giullare torni a farsi beffe dei tabù del nostro quotidiano (e Dio solo sa quanto bisogno c’è di un po’ di sana ironia per sopravvivere) e magari conquistare, grazie ad un pubblico finalmente più “maturo” e mentalmente “aperto”, quel ruolo di primo piano criminalmente negatogli fino ad ora.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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