In un anno come il 1987, che fu pieno di capolavori del genere AOR/Class Metal come “Pride” dei White Lion, “Once Bitten” dei Great White, “Back For The Attack” dei Dokken”, o “Hysteria” dei Def Leppard, era diventato sicuramente più difficile farsi notare rispetto agli anni appena trascorsi. Dischi di consolidamento per alcuni, di commiato per altri, ma sicuramente pieni di qualità e di passione, oltre che orecchiabilità. In questo calderone, gli
Whitesnake si erano posti decisamente in rampa di lancio prima con
“Slide It In” del 1984, per poi esplodere definitivamente con il loro disco omonimo, o anche chiamato semplicemente
“1987”, visto sia l’anno di uscita di quest’ultimo, che per il titolo con il quale uscì in Europa.
Per quanto magari risulti banale, la distanza di ben 3 anni da un disco all’altro in quegli anni poteva decretare la fine di una band, e in questo caso per
David Coverdale l’esito sarebbe stato la perdita di un treno capace di far schizzare gli
Whitesnake in cima alle classifiche. Dopo un estenuante tour mondiale a supporto di
“Slide It In”, durato un anno con più di cento date,
Coverdale decise, assieme al chitarrista di
John Skyes, di dedicare il tempo necessario alla composizione del prossimo album. Il cantante inglese però dovette prima affrontare la separazione dalla band di
Cozy Powell, e poi una forte sinusite che colpì
Coverdale nel mezzo della composizione del disco, e che causò un ritardo di ben sei mesi prima dell’inizio effettivo dei lavori.
Coverdale decise anche in questo caso di rinnovare la band, chiamando prima
Don Airey alle tastiere, e
Aynsley Dumbar alla batteria.
“1987”, va detto subito, è uno di quei dischi che chiamarlo capolavoro è dire poco. Provate a dare uno solo dei pezzi presenti in questo album a una band emergente, e nel giro di una settimana la loro popolarità aumenterebbe drasticamente. Ogni pezzo qui presente è, paradossalmente, un potenziale singolo da classifica, da
“Still Of The Night” che richiama a sé una certa “Black Dog”, con una parte centrale dove
Don Airey riesce a creare un’atmosfera malinconica ma al contempo misteriosa, e dove anche il rifacimento di
“Here I Go Again” e
“Crying In The Rain” (presenti originariamente su
“Saints And Sinners”) non stonano, rese più aggressive (prendete con le pinze questo termine) grazie al sound di
John Skyes.
“Looking For Love” ha racchiusa in sé un crescendo da brividi grazie a una performance vocale di
Coverdale da immortalare, mentre con
“Straight To The Heart” e
“Children Of The Night” si ha un attitudine più heavy metal ed irruente che non stona nell’atmosfera generale del disco. Con
“Bad Boys”,
Coverdale dimostra di aver appresso molto bene la lezione di band come Scorpions e UFO, con ritornelli ed assoli vincenti.
“1987” è un album che ha fatto, e continua ancora oggi a fare la storia, e che a distanza di quasi 35 anni dalla sua uscita è riuscito a mantenere intatta la sua potenza e carisma. Impossibile non riconoscere l’inizio di una
“Here I Go Again” dalle prime note di tastiera, o il ritornello di una delle ballad per eccellenza,
“Is This Love”. Con questo lavoro,
Coverdale si stacca definitivamente dalle sonorità blues/rock n’ roll dei lavori precedenti, per toccare la vetta definitiva del successo, oltre che a sbancare anche nel mercato americano, finendo al secondo posto della classifica Billboard. Uno di quei dischi che ha fatto la storia della Musica, di quella con la M maiuscola.