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Noctum sono di Uppsala, Svezia, piccola cittadina dell’estremo nord. Qui, oltre le renne ed i Sami, esiste una attiva e corposa scena musicale, entro la quale brilla in particolare il filone retrò-doom. Si tratta della formula che al più classico doom rock di Black Sabbath, Pentagram, Black Widow, ecc, unisce il dinamismo viscerale del miglior hard rock settantiano. Un suono dal fascino antico, che ultimamente ha trovato nuova energia per merito di gruppi di eccellente spessore come Burning Saviours, Graveyard ed in particolare Witchcraft, ai quali la proposta dei Noctum si avvicina moltissimo.
E’ infatti sufficiente l’ascolto della grintosa, iniziale title-track, per rendersi conto che in questo album d’esordio è assente, in modo quasi totale, l’inesorabile lentezza funerea che caratterizza alcuni sottogeneri del doom contemporaneo. Gli svedesi la sostituiscono con una ispirata antologia di riff ed assoli che farebbero invidia a Tony Iommi e con mid-tempo solidi e trascinanti, inserendo tutto in un contesto atmosferico “dark” e misterioso, teso ma mai opprimente, che può ricordare formazioni quali Angelwitch, Witchfinder General o Witchfynde (quelli di “Give’em hell”).
In questo sabba pieno di streghe, notiamo come episodi quali “Fortune teller” e l’impetuosa “Mistress” ricalchino, sia nel ritmo sostenuto che nell’aspetto vocale, lo stile graffiante, melodico ed emotivo dei connazionali Witchcraft. Altra analogia tra i due gruppi è la presenza di una traccia cantata in svedese, che risulta particolarmente efficace per le sue sfumature bluesy, gelide e sognanti.
Invece grazie ad “Imsomnia” e “Children of darkness”, riscopriamo quel profumo di occulto unito al rombo minaccioso del rock duro, che ha segnato i migliori momenti dei pionieri seventies, su tutti i Sabbath dei primi album. Spigolosità proto-metal al servizio di ambientazioni crepuscolari, intenso groove per una ritualità più portata ai fumi lisergici che ai veri pentacoli di evocazione.
I Noctum ci riportano alle origini del doom e lo fanno con feeling ed attitudine più convincenti perfino di quelli di molti protagonisti dell’epoca, grazie ad un songwriting squisito ed un’esecuzione perfettamente equilibrata, inclusa la voce evocativa ed un po’ fiabesca di Indelof.
Piuttosto di innovatori senza senso, meglio chi rispolvera il passato con doveroso rispetto e ottime capacità, offrendoci un gioiellino doom-rock gustoso dall’inizio alla fine. Più che una clonazione nostalgica, la conferma di una scuola, quella scandinava, che in questo campo non cessa di stupire.
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