Una notevole cura per le melodie e accattivanti linee armoniche spesso a sfondo enfatico, assieme alle più “consuete” dotazioni tecniche di livello e a una produzione impeccabile (courtesy of Mr. Olaf Thorsten), rendono questo “Destiny” dei
Soul Of Steel un prodotto piuttosto godibile anche per chi, come il sottoscritto, dopo la grande abbuffata di qualche tempo fa, si è un po’ “allontanato” da questi lidi sonori veramente iper-sfruttati, in cui riuscire ad essere
personali è ormai un’impresa titanica.
Stiamo parlando genericamente del tipico power-prog “all’italiana” e quindi direi che “personali” non è probabilmente nemmeno il termine adatto, perché chi è appassionato di questi suoni (ma il discorso si potrebbe estendere a molti altri stili caratterizzati da un certo “rigore”, ampiamente diffusi ed apprezzati) è senz'altro orientato a perseguire più uno sviluppo
creativo sulla base di un canovaccio
consolidato che non a ricercare una forma di originalità
tout court, alla fine magari pure vagamente snaturante e poco “comprensibile”.
Ebbene, l’impressione è che i nostri per il debutto ufficiale indirizzino proprio i loro sforzi artistici in questa direzione, mantenendo intatte le strutture elementari del settore e ammantandole di un gusto melodico piuttosto efficace avvalorato di frequente da immaginifiche ambientazioni epico / eroiche, capaci di suggestionare positivamente l’ascoltatore fin dal primo ascolto.
La prima incognita, dal punto di vista di una piena affermazione della band, è, però, rappresentata dalla voce e dallo stile interpretativo “particolare” di Gianni Valente, che sono certo alimenterà dibattiti e produrrà opposti “schieramenti”. Il singer dei Soul Of Steel privilegia l’intensità all’esplosività canora, sceglie un approccio
temperante ed il suo timbro tenta di sfuggire alla massificazione con un’impostazione affabile e “evocativa” e probabilmente susciterà qualche perplessità soprattutto tra chi è abituato alle prestazioni dirompenti dei vari Luppi, Lione e Tiranti (con quest’ultimo gradito ospite in “Endless night“, un pezzo pregevole dove le differenze tecnico-interpretative nel campo della fonazione modulata sono abbastanza evidenti), riconosciute guide spirituali di questi (e anche di qualche altro, a dire la verità …) ambiti espressivi.
Personalmente la prova di Valente e la sua intonazione piacevolmente “persuasiva” non mi sono per niente dispiaciute, mentre sono dell’avviso che il sestetto tarantino abbia ancora dei margini di miglioramento per quanto riguarda la focalizzazione e l’organicità del songwriting, rilevando anche la necessità di un’ottimizzazione nella coesione e nell’equilibrio di “gruppo”, oggi a volte minimamente deficitario, con le tastiere di Daniele Simeone, ad esempio, non sempre valorizzate come meriterebbero.
Il primo obiettivo, in situazioni come queste, è riuscire ad essere “credibili” e rappresentare un degno “ambasciatore” di settore, e i Soul Of Steel l’hanno sicuramente conquistato, ma ora il traguardo che li aspetta, forse persino più
sfidante, è dimostrare con l’ostinazione e la voglia di perfezionarsi riservata ai migliori, di saper trasformare le scintille di “Destiny” (“Running in the fire ”, la leggiadra “Wild cherry trees”, “Till the end of time”, “Wings of fire”, oltre alla già citata “Endless night“) in una fiamma vivida e rigogliosa, che incendi in maniera
inestinguibile i sensi dei molti sostenitori del genere.
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