Breve cenno storico sui Flattbush. Sembra che durante gli anni ’60 nelle Filippine operasse un gruppo rock con questo nome, formato da alcuni studenti universitari. Le loro canzoni erano pesantemente critiche verso il regime del dittatore Marcos ed anche verso l’ambiguo atteggiamento del Governo degli Stati Uniti, accusato di complicità e connivenza con il feroce leader Filippino. Invece di ottenere il successo di molti colleghi Americani ed Europei della musica di protesta, i poveri Flattbush furono presto ridotti al silenzio con metodi molto più radicali di qualche critica negativa sui giornali. Così il loro nome fu rapidamente dimenticato.
Dove ci porta tutto questo? Ci porta a tempi molto più recenti, a due ragazzi nativi delle Filippine, i fratelli Arman e Riko Maniago, figli di una coppia di intellettuali attivisti di sinistra emigrata negli States al principio degli anni ’90. L’integrazione dei due giovani nel tessuto sociale di Los Angeles è passata anche attraverso la musica, ed unendosi agli amici Ray Banda, anch’egli immigrato ma dal Messico, e Bradlee Walther hanno formato una band rispolverando l’antico nome della leggendaria formazione Asiatica.
Manco a dirlo, anche stavolta Flattbush è sinonimo di gruppo estremamente politicizzato, un’espressione di forte dissenso verso il capitalismo, il militarismo, le dittature visibili od occulte, la corruzione dei governi e tante altre nefandezze contemporanee che loro rappresentano simbolicamente con una piovra (per noi nulla di nuovo..).
Il sound del gruppo è di tipo ultraviolento e totalmente schizzato, si muove in territori grindcore ed hardcore Americano. Evidentissimi i richiami a Napalm Death, Rage Against the Machine, e per certi versi System of a Down e Brujeria. Ben prodotti da Billy Gould (Faith no More) il loro assalto furioso non concede tregua, trascinato dallo spaventoso drumming di Banda che tocca livelli psicotici. Davvero minime le variazioni all’incedere furibondo, qualche gioco di vocals contrastanti come in “Question authority” e poco altro. L’unica particolarità che li rende riconoscibili è l’alternanza di brani cantati in Inglese con altri in Tagalog, idioma parlato dai fratelli Maniago.
Tredici pezzi in meno di mezz’ora indicano chiaramente che si tratta di un album per appassionati del genere, ai quali la carica di genuina brutalità dei Flattbush dovrebbe piacere, pur se non aggiungono nulla di nuovo alle regole estreme del grind.
Resta poi l’incognita della forte colorazione politica del gruppo, che traspare senza mascheramenti dai loro testi (perlomeno quelli comprensibili…) e che come sempre si può rivelare arma a doppio taglio.
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?