Dopo i milioni di copie vendute di “1987”, albo con cui i
Whitesnake abbandonano definitivamente la loro “innocenza” britannica per diventare un
prodotto appetibile anche per i palati americani, arriva “Slip of the tongue”, chiamato a mantenere l’
aureo status ormai conseguito.
L’impresa è improba (e sarà, come oggi sappiamo, in parte,
delusa), ma il gruppo con l’ingresso del
guitar-mostre Steve Vai (a quanto pare per il reclutamento fu più importante il suo
mefistofelico ruolo in “Crossroads”, che non il lavoro con Zappa, Alcatrazz e “Diamond Dave” Roth!) sembra davvero attrezzato per superare
addirittura i trionfi del famoso
best-seller.
La band arriva alla prova live del Monsters of Rock a Castle Donington del 1990 (insieme a Aerosmith, Poison, The Quireboys e Thunder), nonostante qualche critica non esattamente entusiasta, nelle migliori condizioni possibili: formazione stratosferica, con Adrian Vandenberg completamente ristabilito dalla tendinite che l’aveva costretto a disertare le sessioni di registrazione di “Slip of the tongue” e l’energia di chi vuole ancora una volta dimostrare che i
gossip e le
invidie (ricordate “Led clones”?) sono “roba” per
frustrati e i cambi di line-up (le polemiche per lo split con Sykes e Campbell non si sono ancora del tutto placate!) sono stati funzionali alla conservazione di quel connubio tre esperienza e freschezza che “Re” Coverdale ha sempre perseguito per la sua corte.
Il concerto è, come facilmente presumibile, eccellente.
Interpretazioni di spessore e cariche di verve, un’ambientazione adeguatamente “empatica” e una scaletta che non dimentica del tutto il glorioso passato (“Slide it in”, “Slow an’ easy”, un’appassionata esecuzione di “Ain’t no love in the heart of the city”, ma anche “Here I go again”, “Crying in the rain” e “Fool for your loving”, già riesumati in trascrizioni
iper-amplificate per la produzione discografica “moderna” della band) e lo affianca ai “classici” recenti (“Is this love”, “Bad boys”, la favolosa “Still of the night”, arguta
traslitterazione del “Cane Nero” più celebre del rock), senza per questo affossare i nuovi brani, forse leggermente convenzionali (“Cheap an’ nasty “ e “Kitten’s got claws“ sfiorano davvero la
routine compositiva, mentre “l’hard “sinfonico” di “Slip of the tongue” e l’ardore Kashmir-
esque di “Judgment day”, sono sicuramente meritevoli di grande considerazione) e nondimeno capaci di un notevole impatto nella vibrante esposizione “da palco”, anche grazie all’illuminato trattamento Vai-
ano, in grado di conferire all’intero programma un prezioso tocco fantasioso, seppur costantemente bilanciato.
I momenti di gloria personale per il chitarrista olandese Adrian Vandenberg (
… the Flying Dutchman, Donington …), per Tommy Aldridge e ancor di più,
noblesse oblige, proprio per lo strepitoso Vai (cui viene
concessa, con doveroso slancio “democratico”, l’esecuzione di “For the love of God “ e “The audience is listening”, tratti dal suo “Passion and warfare”), rappresentano il complemento (superfluo, per taluni, eppure rispettoso di un
copione tradizionale cui tutti siamo, alla fine,
almeno un po’ affezionati) di questo sontuoso doppio dischetto, perfetto per un “viaggio nella memoria”, per ascoltare (e vedere, se vi affiderete alla sua versione in Dvd) tanta buona musica e
ingolosirsi nell’imminenza del Gods Of Metal, quando David e i suoi nuovi pards ricreeranno, ne sono certo, ancora una volta la magia inestinguibile di quell’hard rock blues cromato e potente apprezzato anche nell’ultimo eccezionale “Forevermore”.
A margine della disamina, lasciatemi dire che “Live at Donington 1990”, mi costringe, però, anche ad un piccolo
rimpianto per un sodalizio, quello tra Vai e Coverdale, da cui francamente mi sarei aspettato molto di più … era abbastanza prevedibile che due personalità tanto forti, diverse e carismatiche non sarebbero riuscite a
convivere a lungo, tuttavia continuare ad immaginare cosa avrebbero potuto fare, con un’applicazione supplementare, l’una per l’altra e per noi inguaribili
rockofili, magari portando i Whitesnake in una nuova “dimensione” creativa, rimane una stuzzicante forma di suggestione …