Concorderete con me che non capita tutti i giorni che una band black metal passi dal demo autoprodotto al siglare un contratto con una major. Eppure è quello che è successo agli
Ipsissimus, terzetto di New Haven – Connecticut che si sono guadagnati un deal importante con la tentacolare Metal Blade in seguito al rilascio dell’EP “Three secrets of Fatima” e ad una serie di calde esibizioni nel New England nei tour di acts quotatissimi quali Nachtmystium, Enslaved, Dark Funeral, Krallice, e Watain; passando in men che non si dica da realtà locale a nuovi rappresentanti del black metal americano.
Che, a ben vedere, “The way of descent” di americano ha pochissimo. Se non avessi letto la biografia della band, basandomi solo ed esclusivamente sull’ascolto delle sei malevoli tracce del cd, avrei indicato la Svezia o la Finlandia quali possibili patrie dell’agguerrito terzetto composto da Tichondrius (Bass/Vocals), Haimatokharmes (Drums), His Emissary (Guitar).
Il metal degli Ipsissimus si inserisce nel cosiddetto filone del religious black metal, ennesimo sottogenere del settore (per chi ama le etichette) che vede spiccare band eccezionali come Watain e Behexen. Spazio quindi a testi luciferini, blasfemi e di tradizione esoterica trasmessi tramite il cantato straziato di Tichondrius, il cui “stile” è ricollegabile a quello dei vari Corvus (Horna), Hoath Torog (Behexen) o Mannevond (Koldbrann/Endstille).
L’album vede una nuova registrazione dei tre pezzi usciti in “Three secrets of Fatima” a cui sono state aggiunte tre nuove tracce inedite, Il songwriting alterna parti più tirate a momenti in cui sono gli inserti melodici a farla da padrone utilizzati sia nei riffing portanti che come stacchi più cadenzati per far tirare il fiato all’ascoltatore all’interno dei brani (valga come esempio la parte centrale di “Monakhourgia /The Prince of Tyre”).
Ovviamente “The way of descent” non balzerà alla cronaca del 2011 per chissà quali innovazioni da riportare alla vostra attenzione con toni entusiastici (ho perso il conto di tutte le volte che sentito la soluzione del cantato magniloquente qui utilizzato in “Hodos autopophaseos”) , ma preso nel complesso, anche dopo più ascolti, è difficile trovare qualche grave difetto strutturale.
L’anima religious dell’album si sente particolarmente nelle parti più rallentate di pezzi quali “The second secrets of Fatima”, in cui l’incedere cadenzato viene rafforzato dalla ripetizione dello stesso giro di chitarra, e da “The third secrets of Fatima” in cui si può apprezzare in pieno il lavoro svolto dal batterista Haimatokharmes.
La produzione, effettuata da Jeff Weed presso i Sonic Enviromentes Studio, è bilanciata e i suoni delle chitarre non sono troppo saturi, l’incedere dei brani non risulta né impacciato né tentennante il che, considerato che è l’album del debutto per gli americani, fa molto ben sperare nel futuro specie se riusciranno a crescere come personalità.
E su questo punto credo si basi la scommessa della Metal Blade quando ha deciso di metterli sotto contratto, vedremo quanto e come verrà corrisposta. Nel frattempo le sensazioni sono più che positive.
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