Gli statunitensi
Argus pubblicano il loro secondo album per la piccola label italiana Cruz der Sur. In effetti propongono uno stile doom più vicino ai gusti europei che a quelli americani. Tutte le canzoni hanno una forte impronta epico-melodica, atmosfere drammatiche, grande cura nei dettagli e nelle rifiniture. Inoltre presentano agganci all’heavy metal classico, soprattutto nella riscoperta di un rifferama magari semplice ma roccioso e tagliente, riconducibile alla Nwobhm più “oscura” e matura.
Ma non c’è nulla di nostalgico in questo lavoro, anzi l’influenza che emerge maggiormente è quella dei recenti Candlemass. Ad esempio troviamo le stesse vibrazioni mistiche e solenni, ben diverse dal feeling cimiteriale di tanti altri interpreti del settore. Ancora più pronunciata la vicinanza dei due gruppi per quanto riguarda le linee vocali. Sorprende la prestazione del vocalist Brian Bolich, certamente sopra la media, che con toni severi ed imperiosi ricorda in qualche modo il collega Robert Lowe.
Quindi gli Argus concepiscono il disco con un mix di parti lente e marziali, ed una serie di stacchi ruvidi e tirati, soluzione già notata recentemente in formazioni come Seventh Void, Hour of 13, Place of Skull, ecc. L’accoppiata iniziale “A curse on the world/Wolves of dusk” accentua i toni maestosi, potenti ed oscuri, poi s’impongono gli episodi più tradizionalmente doom come “42-7-29” e la mortifera “Pieces of your smile”, che sprofondano in abissi di tenebra. Molto belle anche la title-track e “Durendal”, nelle quali emerge ancora meglio lo spirito epico della band statunitense.
In qualche frangente, le liriche paiono perfino prolisse e tendono ad appesantire un po’ la canzone, ma è evidente l’intenzione di concedere il massimo spazio possibile al cantante, una delle migliori carte in possesso degli Argus.
Senza far gridare al miracolo, questo disco ha tutti i diritti di essere aggiunto alle varie buone uscite degli ultimi tempi nel filone doom.
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