Lentissimi, oppiacei, letargici, ipnotici, malati, si potrebbe proseguire con altri vocaboli similari per descrivere l’effetto provocato dagli statunitensi
Bong, ultima rivelazione in campo drone/doom.
Tre brani interminabili, che colano nelle orecchie con la viscosità del catrame e si estendono narcolettici ed inarrestabili dilagando nella mente dell’ascoltatore. Ancora una volta si tratta di musica che rifiuta i canoni tradizionali, cercando di trasmettere sensazioni, suggerendo immagini, disegnando ambienti congelati da una fissità diabolica e apocalittica.
La prima traccia, oltre venticinque minuti, è un trip allucinogeno, maniacale, ossessivo, centrato su una sorta di duetto tra sitar e chitarra “space”, mentre rombi ultrasonici e drumming sconnesso forniscono un sottofondo acid-freak da fine ’60.
“Across the timestream” è più vicino alla trance-music di Sunn O))), Boris, Earth e compagnia. Qui i Bong danno vita alla loro tossica e lenta jam sostenuti da una disturbante base di noise e distorsioni. Un pezzo monolitico, lugubre, sinistro, che potrebbe fungere da ideale accompagnamento per un immondo rituale negromantico o un’orgia di sostanze psicotrope.
L’ultimo episodio è nuovamente un ultra-slow immenso, sfibrante, che si trascina avanti come un calvario fino a disperdersi in echi cosmici e stramberie elettroniche. Mezz’ora da incubo, ripetitiva all’inverosimile ma anche impercettibilmente in evoluzione, che immobilizza come la preda sotto il magnetico sguardo del predatore, fino a generare una sensazione di strangolamento cerebrale e di totale abbandono.
Niente da aggiungere, se siete tra i pochi che reggono questo particolare e controverso sottogenere, osannerete i Bong come brillante astro nascente. Altrimenti non arrivereste nemmeno alla fine del primo brano (?).
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