Trent’anni e non sentirli.
Con quest’affermazione abbastanza
banalotta, apriamo la disamina del nuovo lavoro dei
Night Ranger, autentica istituzione del rock americano, con all’attivo milioni di dischi venduti, partecipazioni a colonne sonore e musical di successo (“Rock of ages”), collaborazioni prestigiose e gratificazioni più “moderne” come la presenza nei videogames "Rock band" e "Guitar hero", il tutto, appunto, in sei lustri di una carriera di grandissimo livello.
“Risorta” nel 2007 con “Hole in the sun” (che con il suo taglio “attualizzato” aveva sorpreso, e
verosimilmente un po’ deluso, una parte dei fans “storici”), dimostrando di poter risultare credibile anche attraverso un approccio “al passo con i tempi”, la band californiana conferma tutta la sua vitalità anche in questo Cd dove, però, la motivazione ispirativa principale appare quella di risalire alle radici del suo
tipico sound, una mistura straordinariamente efficace di raffinatezza e vigore, di forza espressiva e sensibilità.
Il sapere se dietro di questa sorta di
inversione di tendenza ci siano “opportunismi commerciali” (oggi che certi suoni “tradizionali” sembrano poter contare su una consolidata forma di attrattiva) o esclusivi impulsi artistici non è francamente una questione così essenziale, soprattutto perché “Somewhere in California” non si manifesta né troppo “schiavo del passato” e né datato, in virtù di una freschezza che lo rende l’ennesimo modello di
melodic hard rock a ventiquattro carati prodotto dalla band, capace di essere protagonista anche in questo discograficamente così “difficile” terzo millennio.
Ogni pezzo dell’albo è, infatti, marchiato a fuoco da quei connotati per cui il
Ranger della Notte è tanto amato e stimato: tecnica esecutiva (infallibili come sempre le sontuose elaborazioni chitarristiche) e impasti vocali impeccabili, accattivante creatività melodica, incisività e una sintonia e una convinzione tanto esemplari da far quasi dimenticare i cambiamenti di
line-up che hanno contraddistinto questi immarcescibili
AOR Gods statunitensi.
Si comincia con una vibrante e vaporosa celebrazione della loro terra, “Growin’ up in California”, talmente efficiente da evocare immediatamente tutto “l’immaginario collettivo” ad essa collegato (si potrebbe tranquillamente utilizzare per uno specifico
spot turistico!) e da, cosa ancora più importante, “piantarsi” in testa senza possibilità di appello.
Chi predilige, invece, profili maggiormente
pragmatici e grintosi, troverà soddisfazione in “Lay it on me”, in cui la fisicità (e un alito di “modernismo”) non invalida in nessuna maniera una linea armonica ancora una volta vincente, gratificata da un refrain dalla solida impostazione
anthemica, la stessa che, in qualche modo, ritroviamo in “It’s not over” e “Rock n’ roll tonite”, altri episodi in grado di coniugare con notevole abilità
graffio e
lusinga.
Con “Bye bye baby (not tonight)” iniziano le concessioni “sentimentali”, ma se qui c’è la forza di sostenere, anche musicalmente, la propria ruvida scorza di
rockers, tali convinzioni sembrano cominciare a vacillare nelle vitali ballads “Time of our lives” e "Live for today” (con il suo gusto
sixties e Beatles-
iano, potrebbe finire per mettere d’accordo i sostenitori di Cheap Trick, Enuff Z’ Nuff e … Beady Eye!), momenti emozionanti che confermano ulteriormente (laddove ce ne fosse il bisogno …) la competenza di “genere” di un
team che è stato in grado di consegnare ai posteri una
hit impareggiabile come "Sister christian" e non teme la sfida con un precedente così impegnativo, pur senza essere minimamente interessato a tentarne una sterile rilettura.
“No time to lose” e "Say it with love” sono gioiellini di
rock adulto dagli orizzonti “spaziosi”, mentre lascio per ultimi i commenti ai due brani che mi hanno, in ultima analisi, maggiormente impressionato, in un contesto comunque di grande compiacenza
cardio-uditiva collettiva: “Follow your heart”, uno spaccato di sofisticato e grintoso hard-rock dagli effetti “familiarmente stranianti” (con un pizzico di Damn Yankees nell’amalgama) e “End of the day” un limpido affresco di “ars radiofonica” yankee,
pura e
semplice.
Il tempo non si ferma, cambiano le “mode”, gli interessi del pubblico e le modalità di fruizione della musica (e i nostri affidano in esclusiva le
bonus tracks “Coming of Age” e il
remake di "Dirty deeds done dirt cheap” proprio al mondo “digitale”, quello di
Amazon e
iTunes, rispettivamente) e
riconsiderare il proprio approccio musicale non è
necessariamente un segno di debolezza … i
classici del
Ranger rimangono tali, ma la sua stella rifulge anche in “Somewhere in California”, rendendolo un capitolo certamente degno di cotanta firma.
Ah, già … per terminare in maniera analoga a come abbiamo iniziato …
Tanti auguri e cento di questi giorni …