Ci sono voluti ben sei anni ai
Pitoni meneghini per tornare a
sibilare r’n’r’.
Un periodo piuttosto lungo e verosimilmente anche un po’
frustrante, che ce li riconsegna, forse anche per questa ragione, più carichi ed incisivi, pur conservando la matrice sonora e l’attitudine che già me li aveva fatti apprezzare agli esordi.
Qualcosa deve essere cambiato, in realtà, anche a livello d’ispirazione artistica, dal momento che oggi i
The Pythons aggiungono alle solide e vitali fondamenta di
eighties melodic hard rock, soluzioni
architettoniche maggiormente crepuscolari e “moderne”, a rafforzare la componente carismatica e appetibile di una struttura musicale comunque, anche in passato, mai eccessivamente sottomessa al rigore dei codici stilistici propri del settore.
Il songwriting del gruppo, così, incrementa il suo eclettismo, enfatizzando l’ampiezza ispirativa di un suono che oggi contempla, oltre ai collaudati Bon Jovi, Skid Row, Tesla e Alice Cooper (irrobustiti da un modesto contributo di Metallica / Megadeth, rilevabile pure nel summenzionato debutto sulla lunga distanza del 2005, “Never:Enough”), anche
qualcosina di The Mission e 69 Eyes (influenza dei sodali Bloody Mary, con i quali condividono etichetta e batterista?), se non addirittura bagliori di Muse e The Rasmus (ascoltare l’
inattesa, quantunque piuttosto gradevole, “All in”, per referenze …).
Chi fosse rimasto sorpreso da tal evoluzione, non si preoccupi, ritroverà i The Pythons che conosceva, sebbene in una versione leggermente più “fisica”, nelle poderose “The face behind”, “Chase the sun” e “Darling”, momenti vigorosi gratificati da ottime melodie, o ancora nell’avvincente “Rise against”, non troppo lontana dall’Alice Cooper “anni ‘80”, mentre qualora foste incuriositi dalle “nuove” suggestioni, vi consiglio di ascoltare, oltre alla già citata “All in”, l’adescante “Mary Ann” (con un
refrain un po’ alla “Take on me” degli A-Ha!), una vibrante
title-track (Billy Idol e i Metallica impegnati sullo stesso pentagramma?) o ancora la tumultuosa malinconia di "In this life” (potrebbe
rischiare di piacere perfino agli estimatori dei Placebo!), sintomatiche di come la band abbia, in qualche modo, saputo ampliare le sue “vedute”, garantendo al contempo un’elevata qualità espressiva e sensoriale.
Fra gli episodi di spicco dell’albo non poteva mancare l’
outtake atta ad esplorare il versante sentimentale dell’hard rock, si chiama “Raindrops” e conquista per gusto e personalità e anche le spirali scure e psichedeliche di “Constrictor” (vagamente
grunge … sacrilegio!), così come la disinvolta costruzione armonica di “Trail of tears” rappresentano momenti di notevole valore.
Sapersi evolvere, senza perdere di vista la propria identità, è un’impresa ardua riuscita a non moltissime formazioni musicali … i The Pythons fanno parte di quest’elite e meritano un grosso plauso e tutto il nostro appoggio.
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