Un EP decisamente convincente e un full-lenght magnifico come
Tall Poppy Syndrome erano un biglietto da visita più che sufficiente per farmi correre a gambe levate verso questo
Bilateral, nuova fatica discografica dei norvegesi
Leprous, che si sono rivelati assolutamente all’altezza delle aspettative con un disco di classe cristallina, a mio parere sul livello del suo illustre predecessore.
Il primo ascolto è soddisfacente, complesso, con diversi pensieri che si rincorrono e un’ipotesi di voto che oscilla intorno al 7. Dal secondo giro nello stereo, però, tutte le sensazioni cambiano in maniera decisiva, demolendo le prime impressioni e aprendo la mente a un album in grado di raggiungere vette incredibilmente alte. Entrare nel mondo dei Leprous è un’esperienza quasi mistica, in cui una miriade di generi (prog metal, prog rock, avantgarde, death metal, black metal, epic metal, psichedelia) danno con pesi differenti il proprio apporto a un risultato finale in grado di superare qualsiasi etichetta. Ed è così che la parola progressive può tornare ad essere utilizzata nella sua accezione più pura, definendo un gusto per la sperimentazione e una voglia di stupire mai doma.
Ascoltatevi l’opener/title-track se volete la prova di quello che dico. Poi andate a comprarvelo e continuate con le canzoni, perché tutte nascondono qualcosa di unico. Giusto per citarvi qualche esempio, si va dai cori dell’intro di
Bilateral alla golosa parte centrale di
Forced Entry, dalle melodie di
Restless agli articolati arzigogoli di
Thorn, dalla tormentata delicatezza di
MB Indifferentia e
Acquired Taste alla lucida follia di
Waste Of Air e di
Cryptogenic Desires, dal finale crescente di
Mediocrity Wins ai bellissimi otto minuti di
Painful Detour, che chiudono degnamente il lavoro. Melodie affascinanti, linee vocali mai banali e soluzioni corali di grande intensità, tempi da ricovero in psichiatria, riff di classe superiore. Impressionano, in particolare, le prove del singer (che spesso e volentieri si cimenta anche in vocalità aggressive, aggiungendo pathos e spessore alla propria prova) e del drummer, ma quello che veramente fa la differenza è il songwriting: fresco, personale, mai troppo prolisso e decisamente coraggioso.
Otto e mezzo può bastare finché non avrò la prova effettiva della longevità di questo disco, anche se credo che durerà, perché ad ogni ascolto si scoprono suoni, sfumature ed emozioni nuove, cosa che ritengo assolutamente fondamentale per un disco progressive.
E’ bene che gli appassionati progster non se lo facciano scappare e che vadano anche a cercarsi i predecessori, se ancora non conoscono i Leprous. Per tutti gli altri, se volete davvero ascoltare qualcosa che vada al di là dei sicuri confini in cui vi muovete da anni, questa è una delle band che può fare al caso vostro. Per quanto mi riguarda, disco tra i top del 2011, senza dubbio alcuno: nel mio personalissimo olimpo, ora i Leprous guardano i Pain Of Salvation da un gradino più alto. A questo punto possono diventare enormi con un disco epocale o fregarsi completamente con qualche tavanata, ma spero sinceramente che continuino a camminare sulla retta via.
Dopo l’album del
Vargton Projekt, dunque, ecco la seconda bomba prog del mese di Agosto: altro che mari e montagne, conveniva restare accampati davanti ai negozi di dischi!