Che l'Epic Metal sia in un periodo che definire d'oro sarebbe un eufemismo è ormai un dato di fatto incontestabile, lo testimoniano la grande quantità di band e di esibizioni live che si vedono in questi mesi, soprattutto nel bel paese, in Germania e in Grecia. E proprio dal Peloponneso arrivano questi Battleroar, già discretamente famosi in patria e all'estero grazie al 7" "Dragonship", datato 2002, e alle numerose apparizione live (anche in Italia) di spalla a mostri sacri come Manilla Road, Omen e Brocas Helm, e proprio nei nomi appena citati, da affiancare a band come Cirith Ungol e Jag Panzer vanno ricercate le influenze che hanno guidato i quattro greci (Marco Concoreggi è infatti italiano) nella creazione del loro primo full-lenght. Il disco si apre con la notevole "Swordbrothers", pezzo tirato che mette subito in mostra le ottime doti di riffing di Karazeris e Tzortzis, nonchè la voce, molto lirica e impostata di Concoreggi, che contribuisce a dare un tocco di sacralità e di pathos a tutto il disco. Segue "Victorious Path", a mio avviso il miglior pezzo dell' album, con un ritornello che ricorda pesantemente I Manilla Road di Cristal Logic. Molto particolare anche la successiva "Egyptian Doom", più oscura e pesante rispetto al resto dell'album, e orientata verso sonorità più prettamente doom. La title track invece, dopo un intro acustico e molto melodico, sfocia in un riffing molto cadenzato e aggressivo, che fa da sottofondo ad una linea vocale non sempre lineare ed immediata, ma di sicuro effetto. Vera chicca di questo disco è però l'apparizione di Kenny Powell come guest musician su "Megaloman", song veloce ed aggressiva, impreziosita ulteriormente dai graffianti assoli dell'indimenicabile axeman degli Omen. La produzione è molto buona: senza (giustamente) far ricorso ai suoni moderni, troppo pompati e compressi per potersi intonare con le composizioni, i Battleroar sono riusciti a ritagliare il giusto spazio per ogni strumento, senza sacrificare nulla in termini di godibilità dell'insieme. Unica pecca (se proprio vogliamo fare i pignoli e chiamarla in questo modo) può essere la scarsa innovazione che permea tutti i pezzi, ma ciò non sarà sicuramente un problema per gli amanti del genere, che hanno la possibilità di scoprire una buonissima band con tutte le carte in regola per emergere definitivamente.
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