I francesi
6:33 sono una di quelle band che rischiano di mettere duramente alla prova l’aleatorio concetto di “apertura mentale” dell’ascoltatore.
Perché dico questo? Perché l’ascolto di “Orphan of good manners” è paragonabile ad uno zapping continuo fra diversi lettori cd che suonano musica diversa l’una dall’altra.
Una accozzaglia di generi che passano attraverso le sonorità proprie dell’heavy metal (estremo e non), del pop, del funk, dell’ambient e della techno in maniera spesso eterogenea e a suo modo disturbante, ma che alla fine non rispondono alla legittima domanda che giunge al termine dell’ascolto: “ma c’è della genialità o è solo cialtroneria?”
Se l’obiettivo dei transalpini era quello di alzare (metaforicamente) un polverone per far parlare di sé nel bene e nel male, direi che ci sono ampiamente riusciti.
Anche le valutazioni che si trovano nella Grande Rete non mostrano mezze misure nel giudicare “Orphan of good manners”.
O è stroncato pesantemente o è portato sugli scudi come qualcosa di fresco ed innovativo.
Personalmente non penso che sia un album per tutti. Il “problema”, ovviamente, sta anche in quello che ascolta il cosiddetto metallaro medio, abituato, salvo rare eccezioni, a navigare in acque conosciute.
Spetta dunque a voi (in base al grado di apertura mentale che possedete s’intende) decidere se i 6:33 potranno convivere nella vostra audioteca. A
Giusto per la cronaca anche se nel mio Ipod convivono Krokus e Carpathian Forest, difficilmente terrei i 6:33, preferendo ai transalpini qualcosa con contorni più definiti.
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