Tempo di
side-project per gli evidentemente iperattivi membri dei The Ocean, che mescolano le carte e si ripropongono in questo
split sotto due denominazioni e due stili musicali differenti ma aventi come denominatore comune quello di un suono sofferto, inquieto, spietato e pesante.
Con i
Coilguns, siamo dalle parti di un
post-core “matematico” devoto all’insegnamento di Converge, Breach e The Dillinger Escape Plan, per una forma di violenza volubile, (de)strutturata e incisiva in cui mente e fisico vengono entrambi adeguatamente stimolati.
“Mastoid”, “Phersu” (la mia preferita) e “Kachinas” sono tre momenti di ferocia e instabilità musicale piuttosto riusciti, sufficientemente lucidi per non valicare mai la “soglia del dolore”, pur
torturando amabilmente l’apparato uditivo degli appassionati del settore.
Leggermente meno efficaci e tuttavia piuttosto interessanti appaiono i
Kunz, dediti ad una forma espressiva che mescola
grunge primordiale,
noise e
sludge, in una palude dove si muovono Melvins, Shellac e Neurosis. Attraverso scenari colloidali e soniche colate laviche, la sezione ritmica dei The Ocean (aiutata, nella furente “What makes me sleep”, da Mike Pilat, già
screamer della formazione berlinese) interpreta con vocazione e discreta intensità le peculiarità tipiche del genere, riuscendo a far emergere dalle macerie prodotte dal maglio delle loro dense note, linee armoniche di buona fattura, in una quaterna di brani che ha in “Flush” (una sorta di Sabs “apocalittici”) il suo presumibile momento migliore.
Una “partita” giocata in “casa”, conclusasi con un sostanziale pareggio e che ci consegna altri due stimolanti modi d’intendere la musica “estrema”.
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