Da qualche tempo ormai gli
House of Lords sono innegabilmente la creatura di James Christian, l’unico superstite di quella
line-up che nel lontano 1988 diede alle stampe un’autentica pietra miliare di pomp/hard rock.
Evidentemente l’ottimo James deve aver trasmesso ai suoi eccellenti collaboratori (ormai più che “rodati”, in realtà!) tutta la cristallina, maestosa e scintillante genialità di cui la formazione voluta dal mitico Gregg Giuffria (e da Mr. Gene Simmons) è stata capace fin dal primo vagito discografico della sua esistenza, tanto che sono sicuro che anche l’
Angelo delle tastiere americano, ormai dato artisticamente per
disperso, non potrà che essere orgoglioso di quanto realizzato dall’ex L.A. Rocks sotto il glorioso monicker dopo la sua “dipartita”.
“Big money” non sovverte per nulla questo presumibile
privilegio, confermandosi come un lavoro di grande eleganza e forza espressiva, reiterando quella magistrale commistione di potenza, sensibilità, tecnica e melodia divenuta inconfondibile marchio di fabbrica della nobile
reggia statunitense.
Anzi, dirò di più … se confrontato con il precedente “Cartesian dreams”, il nuovo lavoro mi sembra addirittura lievemente più ispirato e convinto, ostentando un equilibrio tra durezze, magniloquenze e sentimento piuttosto edificante per la tradizionale impronta stilistica del gruppo.
Grande plauso a Mr. Christian, dunque, per l’importante e consolidato lavoro di “divulgazione” e, soprattutto, per la prova impeccabile della sua voce, ma anche ad un Jimi Bell sempre appagante e controllato, sia che si tratti di proporre fraseggi cromati e ficcanti, sia che la scelta musicale ricada su articolazioni più passionali e intense.
Partenza
sprint con il piglio
classy e
anthemico della vibrante
title-track, mentre gli ama Zeppelin e Rainbow, ascoltando “One man down” e “Livin’ in a dream world” (ehm, … la “Stargazer” degli HOL?), si ritroverà con un nuovo profondo solco scavato nella sua anima di
musicofilo, riconoscendo in queste suggestive note il gusto superiore di un’ispirazione pregna di classe e di grande personalità.
“First to cry” (recuperata dal repertorio di Mark Free … chi si ricorda della bella versione resa dagli svedesi Ignition?), la ballata romantica “The next time I hold you”, i cori Def Leppard-
eschi di "Hologram” e la risoluta “Once twice” (appena inferiore) illuminano i sensi di tutti gli appassionati di AOR che nelle canzoni cercano atmosfera e vitalità, “Someday when” e “Run for your life” aggiungono un prezioso drappo
pomp al già incantevole
look sonoro, e anche “Searchin’” nella sua esposizione vagamente Whitesnake-
iana, così come i vaghi tentativi di “aggiornamento” operati nelle oscillanti (riff scuri e compressi stemperati da armonie vaporose) "Seven” e “Blood” sono momenti abbastanza piacevoli pur non raggiungendo i livelli entusiastici del resto del programma, raffigurando verosimilmente (sebbene non conosca i suoi gusti attuali!) gli unici pezzi che faticherebbero un po’ ad ottenere il risoluto benestare del
divino Gregg.
“Big money” è un altro capitolo estremamente competente nella parabola artistica degli House of Lords, a cui, forse, manca solo un pizzico di quella “scintilla” creativa in grado di renderlo veramente “definitivo”. Rappresenta, tuttavia, un acquisto imperdibile per tutti i fans della band e per chiunque si ritenga un vero appassionato di musica rock … una sicurezza, insomma, proprio come la label che lo patrocina, sempre più protagonista della scena melodica internazionale.
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