"Leviathan" è stato la rivelazione, "Blood Mountain" la voglia di stupire, "Crack The Skye" la maturità. Ora i
Mastodon hanno superato definitivamente la fase dell'effetto sorpresa, il loro stile non è più "la novità" del momento, ma il trend da seguire per migliaia di giovani band che li prendono ad esempio. Una fase assai difficile da gestire, che ha significato per molti sterilità creativa, pedissequa riproposizione di schemi vincenti, anche (e soprattutto) per evitare di deludere la solida base di audience conquistata. Per fortuna, "The Hunter" non è nulla di tutto questo. Certo, sarà difficile andare oltre le schizoidi geometrie di "Blood Mountain", oppure superare i confini del modern-progressive di "Crack The Skye", ma ciò non significa adagiarsi su schemi precostituiti e sicuri. I Mastodon hanno scelto di "alleggerrire" il carico concettuale del precedente album, e ciò è facilmente intuibile dal numero delle traccie, proprio per evitare di soffocare in una spirale autocelebratoria. Il dosaggio melodico è sicuramente più pesante, ma sinceramente non parlerei affatto di commercializzazione, perchè le influenze space/psichedeliche ("Stargasm", "Octopus Has No Friends", lo strepitoso ipnotismo della title-track) sono tuttora ben presenti e radicate, confermando per l'ennesima volta che i Mastodon potrebbero essere visti come l'estrema versione metallica degli Hawkwind. "Blasteroid" è una scheggia impazzita che non avrebbe affatto sfigurato su "Blood Mountain", mentre l'altra faccia della medaglia è rappresentata dal singolo "Curl Of The Burl", decisamente lineare e "catchy", sempre se questo termine può avere un senso nel vocabolario Mastodon. "Dry Bone Valley" è una sorta di versione aggiornata dei memorabili Voivod di "Angel Rat", con il drummer Brann Dailor che può sbizzarrire tutta la sua fantasia ritmica. E se "Thickening" vive su dei chiaroscuri piuttosto marcati, evidente retaggio delle suggestioni quasi cinematografiche dell'album precedente, "Creature Lives" sembra rincorrere il folle fantasma del "crazy diamond" Syd Barret. L'opener "Black Tongue" ed il "macigno" "Spectrelight" sono forse i momenti che si avvicinano maggiormente al corrosivo metal di "Leviathan", ben bilanciati dagli obliqui riflessi della sorprendente "Bedazzled Fingernails", che unisce idealmente le "convergenze parallele" di Kyuss, Tool e dei soliti, seminali Voivod. Chiude le ostilità la Floydiana "The Sparrow", simile per suggestioni ed atmosfere all'eterea impostazione della title-track, che ci lascia un messaggio da tramandare ai posteri: "pursuit happiness with diligence". Consolidamento e progressione: questi sono i Mastodon di "The Hunter", e scusate se è poco.