Con un
artwork (un po’
naif, a dir la verità) e un
monicker probabilmente più adatti ad un gruppo dedito ad una forma classica e sanguigna di
metallo sonico, arrivano al giudizio del mio ormai sfiancato (ma sempre felice!) apparato
cardio-uditivo gli americani
Odin’s Court, formazione a me finora sconosciuta (anche se all’attivo hanno già tre lavori autoprodotti, un Dvd e un albo sempre su ProgRock Records intitolato “Deathanity” … mica si può “seguire” tutto eh!) pronta a sciorinare tutta la sua passione per la versione più aristocratica e imprevedibile del genere, quel
metal-prog tanto diffuso e spesso altrettanto sterile nella sua ostentata
iper-tecnicità.
Diciamo subito che in “Human life in motion” (concettualmente dedicato alle complessità “dell’esperienza del vivere umano”) gli ingredienti tipici del settore ci sono tutti: tecnica strumentale sopraffina (davvero eccellente il lavoro della sezione ritmica), continui cambi di tempo e d’atmosfera, tra momenti pacati e altri più irruenti, arrangiamenti generosi e raffinati e pure una sufficiente dose di personalità nel trattare la materia, in grado di scongiurare il rischio di etichettare immediatamente i suoi autori come dei semplici cloni dei campioni (o talvolta, ormai, presunti tali …) di specialità.
Quello che manca, però, ai cinquantadue minuti di durata dell’opera, è una vera espressività compositiva che possa trasformare una “normale” ammirazione per una manifestazione artistica priva d’intollerabili difetti in puro entusiasmo, quello, per intenderci, che si riserva a coloro che con argomenti di passionale e viscerale
ispirazione sanciscono il loro significativo ruolo anche all’interno di un universo musicale molto codificato e frequentato.
Si rileva, tuttavia, una sensibilità melodico-creativa abbastanza flessuosa, la quale però non si dimostra ancora sufficiente a conquistare i sensi in maniera inoppugnabile neanche dopo ascolti prolungati, invalidando così, l’eventualità che si tratti di alchimie sonore talmente veementi e innovative da palesarsi appieno nella loro velata ma prepotente seduzione solo dopo la necessaria reiterazione auditiva.
Una modesta responsabilità di tale situazione può essere rintracciata nella produzione del disco, un po’ abulica, e nella voce di Matt Brookins, dotata di buone qualità timbriche e di una rispettabile versatilità interpretativa, eppure incapace di marchiare “a fuoco” queste stratificate soluzioni armoniche, ma francamente ritengo che le carenze più importanti siano da rintracciare nel campo della freschezza e dell’incisività delle composizioni, che rendono il prodotto complessivamente godibile, senza scatenare l’agognata esaltazione.
Un buon lavoro, “Human life in motion” (“Can't forgive me”, “The wrong turn at the right time” e “The echo of chaos”, i momenti migliori, e non malaccio si rivela pure la vagamente Yes-
esque “Red glow dreaming”), che percorre terreni già ampiamente esplorati, lo fa con competenza e dovizia senza
aggiungere (né
togliere …) nulla alla “causa”.
Ho l’impressione che potrebbero nutrire ambizioni espressive più gratificanti … per ora gli Odin’s Court si attestano nella categoria “dell’utile, ma non indispensabile”.
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