La
prima reazione è stata abbastanza negativa.
Nemmeno i Kingdom Come avevano avuto la “sfacciataggine” di continuare imperterriti nella loro palese attività di clonazione, producendo un secondo disco (dopo un esordio,
nonostante tutto, straordinario) che, pur conservando la nobilissima fonte ispirativa, tentava anche soluzioni espressive differenti.
I
Grand Design invece no, anche nella replica discografica a “Time elevation”, per il quale avevo speso parole d’elogio in virtù di una notevole disinvoltura e di una considerevole freschezza, proseguono nell’evidente celebrazione Def Leppard-
iana, senza preoccuparsi minimamente delle critiche che effettivamente un’operazione così
scoperta, e ora per di più
reiterata, farà piovere copiosamente sulla loro
irriducibile capoccia svedese.
Stavolta ero davvero pronto, dunque, ad affidarmi ad un
giustificato biasimo, sottolineando l’irrilevanza artistica di una gradevole scelta stilistica
accettabile in un debutto ma
insostenibile per una replica in cui era richiesta una certa crescita, un elemento di distinzione che aggiungesse alle idee di qualcun altro un alito di carisma, personalità,
bla, bla … e via di questo passo con
frondose elucubrazioni verbali, che pure tanto mi appassionano.
Nel prosieguo degli ascolti, però, qualcosa
cambia, e all’atteggiamento da
giornalista (si fa per dire, ovviamente …), evidentemente ormai talmente radicato da influenzare anche un giudizio preliminare ed istintivo, si sostituisce quello del
puro ascoltatore, in questo caso catturato nei suoi momenti più
disimpegnati, in cui l’aspetto
ricreativo ha il sopravvento sulla ricerca di stimoli più
profondi ed
elevati.
Ed ecco che “Idolizer” (titolo perfetto, tra l’altro!) diventa un Cd alquanto divertente, tanto coinvolgente da onorare adeguatamente i
feticci incontrastati di Pelle Saether e dei suoi soci, non a caso i riconosciuti paladini della difficile arte del
pop metal non stucchevole.
Sia chiaro, questo non sposta di una virgola la valutazione complessiva su un gruppo pressoché privo di creatività
propria eppure abilissimo nell’imitazione espositiva, nella quale riesce a inserire una
verve davvero contagiosa, capace di mettere di buon umore e di trascinare l’astante direttamente nell’universo del
Leopardo Sordo, dove pause e progressioni si avvicendano ad assicurare la tensione, i
refrain gonfiano a dismisura, l’energia vibra in modo tangibile e il temuto
heavy metal abbandona il suo
ghetto e diventa un frizzante genere musicale adatto
anche alle masse.
“Get on with the action”, “You love’s a runaway”, “Stealin’ my love”, “Addiction for love” (ehm, un
pochino troppo “Love bites”, probabilmente …) e l’avvincente “Idolize me” sono gli episodi salienti di un programma che vi troverete a
canticchiare subito dopo esservi
indignati per la sua assoluta subordinazione.
Il voto che trovate in calce non è altro che un, magari malriuscito, tentativo di mediazione tra
ragione e
sentimento, tra il
fan dei Leppard che rileva i limiti di una copia
spudorata e quello che riconosce ai Grand Design una capacità non così comune tra gli
emuli … rendere il risultato di tale ammirazione assai gradito e funzionale a placare temporaneamente la voglia di questi suoni, nell’attesa che i titolari
originali (dopo l’assaggio d’inediti offerto nell’ottimo “Mirror ball”) tornino alla grande e così provvedano a ristabilire le gerarchie.