Quando avevo recensito il precedente “Sole Lord” dei newyorkesi
Hull, il risultato era parso ancora leggermente dispersivo ed altalenante. Però avevo aggiunto che i margini di crescita parevano abbastanza evidenti. Gli sludgers americani non mi hanno smentito, perché nel presente nuovo album mettono meglio a fuoco il loro tiro pachidermico, pur senza rinunciare a proporre brani molto lunghi, pesanti e complessi.
Anche questo lavoro è legato ad una trama unica, che viene affrontata lungo i sessanta minuti di durata. E’ la storia di due fratelli maya, che scelgono esistenze opposte: uno si dedica all’introspezione spirituale e al misticismo, l’altro ai sacrifici umani e all’automutilazione. Immagini crude ed arcane, che in qualche modo rispecchiano lo stile degli Hull: un continuo scambio di trame monolitiche, urticanti, e spazi ipnotici e stonati. Soluzioni che ci avevano già mostrato nel recente passato, ma che ora appaiono maggiormente definite e coese.
Gli oltre dieci minuti dell’iniziale “Earth from water” riassumono con chiarezza il discorso. Sound aspro, massiccio, distorto, oppressivo, ma il percorso è ben accidentato ed il brano si snoda in modo non-lineare sul modello, ormai codificato, di Mastodon e affini. Il trio di chitarre adesso si dedica con efficacia anche alle parti solistiche e questo incrementa la varietà all’interno dei singoli episodi. Sempre tellurico il lavoro della batteria, così come si conferma disturbante la voce tra growl ed hardcore. Maggior spazio ai rallentamenti sludge, alle atmosfere melmose e tossiche, che ci riportano all’attitudine cupa e muscolare di Sourvein, Black Tusk, Weedeater e compagnia.
Un disco ultra-heavy capace di offrire sensazioni forti, sbarramenti fragorosi, brutalità sanguinaria, ma anche momenti di ispirazione narcotica che vanno assaporati con calma. Prodotto di settore, ma da parte di una formazione in crescita, che tra le tante uscite dell’annata si segnala per bellicosità, vigore e dinamismo.
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